martedì 28 febbraio 2012

una piccola tragedia


 Aiace si suicida in presenza di Ulisse e Diomede. Mentre si suicida (si vede la spada che lo trafigge e il sangue che sgorga verso l'alto come una fontanella) Aiace bacia i piedi, o comunque li sfiora con le mani. i due eroi, incrociano le lance sopra di lui creando una specie di struttura architettonica, a triangolo, nella quale i due scudi innestano, a loro volta, un sistema di semicerchi, simmetrico, laterale. 


Aiace si suicida per la vergogna di aver commesso, in preda ad una pazzia indottagli da Atena,  una strage di pecore e montoni, scambiandoli per generali achei, allo stesso modo che don chisciotte con i mulini a vento.
Aiace non si uccide,comunque, per il dispiacere di aver ucciso questi animali ignari ed indifesi, ma per il disonore di aver preso un abbaglio simile.
Aiace pare non fosse molto intelligente, non è noto nella letteratura greca e neanche in quella romana, per la sua intelligenza. Però doveva avere una sua sensibilità molto sviluppata e si offendeva facilmente. La sensibilità, se non accompagnata da intelligenza, può produrre effetti molto devastanti. 
La ragione della sua rabbia erano le armi di Achille, che lui voleva e che anche Odisseo voleva. Odisseo, invece, è noto nella letteretura greca, in quella romana e perisno italiana, proprio per la sua intelligenza. Entrambi volevano le armi di Achille, che era morto per mano di Patroclo. Le volevano come riconoscimento del loro proprio valore nell'operazione di recupero del corpo dell'eroe morto. Avevano un po' ragione tutt'e due, infatti, mentre Aiace roteando l'ascia teneva lontani i troiani, Odisseo prendeva il corpo di Achille e lo caricava sul carro per riportarlo al campo. Aiace in più aveva anche massacrato un Licio di nome Ippoloco e, sempre roteando l'ascia, aveva ferito sia Enea, che Paride, che erano comunque due eroi non da poco, quindi non era del tutto sbagliato che ambisse anche lui alle armi di Achlle. Probabilmente ci teneva. Aiace teneva molto alle armi, gli attribuiva un valore simbolico molto particolare. Infatti, non a caso, la spada con la quale si suicida, era quella di Ettore, a sua volta ucciso da lui. Pare che Ettore, prima di morire, gliel avesse proprio regalata, con intenzione.
Quindi, da questo, si capisce che Aiace fosse un po' fissato con le armi.
Ulisse invece, essendo un intellettuale o qualcosa del genere, avrebbe potuto passarci facilmente su, e lasciargliele per farlo contento. Ma quella volta, anche Ulisse, non si sa perché, non era disposto a cedere di un passo: voleva a tutti i costi le armi di Achille. Nessuno spiega perché quel giorno Ulisse fosse così tignoso, ma probabilmente una ragione ci sarà. Era la fine della guerra, erano tutti molto stanchi e avevano i nervi a fior di pelle. é normale che uno, quando è stanco, sia meno lucido e meno capace di lasciar correre. Infatti quel giorno Ulisse essendo di quell'umore lì, tignoso, non aveva voglia di lasciar correre, e siccome era più famoso di Aiace, tutti gli diedero ragione e le armi di Achille se le tenne lui.

L'unica cosa positiva è che dal sangue di Aiace, che sgorgava dalla sua schiena, nacque una pianta che portava sul fiore, impresse, le sue iniziali.

profezie

Allora siamo andati da un vecchio, di quelli che sanno tutto o praticamente tutto. Era un vecchio che per cinquanta euro ti diceva come andava a finire e che finiva bene. Glieli davi volentieri, cinquanta euro. Anche perché, essendo vecchio, se li meritava.
Quando sono entrata, mi ha detto solo - Si , mi ha dato la mano e me l'ha stretta. Ho sentito come un calore. Avevo paura che mi dicesse qualcosa di brutto. Non è detto che un vecchio, ho pensato, solo perché sa tutto, solo perché tutti dicono che dice sempre la verità, solo perché tutti dicono che dice a tutti che finisce bene, per cinquanta euro, questa volta non dica per esempio, altro.
Ma poi, dovo avermi stretto la mano e avermi detto Si , ha aggiunto solo, sieda pure. Parla molto piano e tra una parola e l'altra, ho pensato, prende molti respiri. Alla fine non ha detto niente di molto importante. Siamo rimasti così, in silenzio. 
Alla fine ha aggiunto solo - Potrei dirle molte cose, ma non me le chieda, non le servirebbero e del resto, le conosce già.
Gli ho dato cinquanta euro e sono uscita. Bi mi aspettava fuori, era molto curiosa ed emozionata, -Cosa ti ha detto?  mi ha chiesto - Che so tutto - le ho risposto.
Poi è entrata lei. Anche a lei ha detto cose belle, a quanto mi ha detto Bi, per cinquanta euro.

lunedì 27 febbraio 2012

guardare le cose con lucidità

guardare le cose con lucidità 
bisognerebbe 
aver fatto il giro
ed essere tornati.
Sapere che alla fine del giro
si può tornare.

domenica 26 febbraio 2012

bicicletta

La mia bicicletta è arancione con il parafango anteriore un po' piegato che quando la ruota davanti gira, lo sfiora leggermente e fa un rumore come di uno che soffia piano in un tubo, o di una libellula. In compenso è dotata di un campanello molto fragoroso. Quando sono per strada, se qualche automobilista mi taglia la strada o mi stringe sul lato o non si accorge, io suono il campanello molte volte. Non mi importa se la gente si lamenta per il chiasso, è l'unica arma che ho.

sabato 25 febbraio 2012

solo due cose

solo due cose:
quando io e mio fratello andavamo a dormire da nostro padre,
il turno del giovedì, mi pare, o del martedì (ma più il giovedì),
la mattina pioveva sempre. Non erano mai piogge torrenziali, ma una pioggina fitta che quasi non si percepiva con gli occhi. Era la pioggia del mattino degli anni settantacinque o settantasei o settantasette, di quando la FIAT buttava ancora in aria grandi quantità di cose. Così, noi andavamo (non per mano) con la cartella, fino alla paletta dell'autobus. Non faceva freddo, dovevamo solo stare attenti a non sbagliare fermata e a cambiare in piazza robilant per arrivare a scuola. Non eravamo soli, perché sull'autobus c'erano tantissime persone, ma non ne conoscevamo nessuna. non ci tenevamo per mano, anche se forse avremmo voluto, perché dovevamo stare attenti a quando scendere.

la seconda è che quelle mattine, nostro padre, per colazione ci dava i soldi per andare alla latteria di sotto a comprare due budini, di quelli nella vaschetta di plastica, per la colazione. A volte li prendevamo neri, al cioccolato, a volte bianchi. quelli bianchi, alla crema, duravano di meno, quando li mangiavi, perché erano più buoni. Mio fratello, il suo, lo mangiava comunque più lentamente di me: cominciava dal bordo e procedeva in modo sistematico, regolare, simmetrico, fino alla fine del budino. Io invece ficcavo il cucchiaino a casaccio e non ci pensavo, che così sarebbe finito subito.

un romanzo

mi sembra che quasi sempre gli scrittori maschi scrivano di protagonisti maschi
e gli scrittori femmina di protagonisti femmine.
è raro che uno scrittore maschio si accolli una femmina come protagonista
perché probabilmente fa fatica a vedere le cose con quegli occhi lì, da femmina.
le scrittrici femmine a volte provano a scrivere di protagonisti maschi, ma sono sempre maschi speciali, molto sensibili, malati o bambini.
 i protagonisti maschi, per la maggior parte, agiscono seguendo logiche d'azione, le protagoniste femmine hanno quasi sempre un coprotagonista maschio che fa succedere le cose e loro ci pensano su e qualche volta agiscono, però sempre meno che se fossero state un  maschio.
un romanzo solo di maschi è quasi sempre molto movimentato, pistole, botte, corse in macchina. un romanzo solo di femmine non mi viene in mente.
piccole donne?
ci sono i maschi.
storie di suore?
c'è gesù.

poi un altra cosa che ho notato è che i romanzi per andare avanti hanno sempre bisogno di qualcosa che spinga la trama, cioè che la faccia muovere. come nelle fiabe: impedimenti, incidenti, qui pro quo.è raro che un romanzo si muova come una barca legata nel porto, solo con le onde provocate dalle altre barche. quello può succedere al limite nei racconti.
nei romanzi ci sono sempre questi eventi che devono far andare avanti la storia. senza storia è difficile che un romanzo si possa portare avanti.
la storia, in un romanzo, è una specie di pretesto. perché a partire da una storia data, è poi il modo in cui uno la storia la racconta, come la vede, il ritmo che gli dà, che racconta di più, secondo me.
la storia è soprattutto un vincolo, un modo per avere l'occasione di descrivere qualcosa dall'interno, senza perdersi.
il problema di alcuni romanzi è che la storia diventa più importante, prede il sopravvento e spadroneggia senza lasciare più alcuno spazio allo sguardo, alla poetica, al pensiero riguardo a quello che succede.
inoltre, nella vita reale, non succede mai che una storia sia ben delineata; è un po' come la frutta che cresce sugli alberi in modo naturale: è difficile che sia quel tipo di frutta perfetta e tonda incellophanata che si trova nei supermercati. la vita è così, le storie della vita sono sempre un po' storte, con qualche pezzo che sembra non essere completamente al suo posto. questo quasi mai viene raccontato bene nei romanzi, perché quando gli scrittori si mettono a scrivere un romanzo, è come se non pensassero più alla vita. vogliono che il loro romanzo esca bene, lo confezionano, comandano alla storia di andare così e così, perché magari si immaginano di farla finire in un certo modo, magari raffinato. ma la fine, per esempio, non ha poi così importanza.
un romanzo dovrebbe saperlo, che la fine potrebbe idealmente anche essere anticipata o posticipata di cento pagine, e lui, il romanzo dovrebe stare in piedi lo stesso.
invece i romanzi si beano quasi sempre dei propri finali, come se la fine fosse la ragione dell'inizio. 
nella vita uno non si muove mai per arrivare alla fine, perchè non ha alcuna idea di essa.
quindi, io, se mai scrivessi un romanzo, lo farei andare un po' di qua, un po' di là, a tentoni, come un cieco. e qualche volta ci metterei dentro delle cose che lo spingono, ma anche delle altre cose che lo spingono meno, e a volte, lo farei addirittura toranare sui suoi passi.
non dico naturalmente che il romanzo debba in tutto e per tutto somigliare alla vita, questo no. uno è anche libero di scrivere un romanzo non realistico. però dev'essere molto bravo.

venerdì 24 febbraio 2012

mai più

vado al supermercato, chiedo una fetta spessa di prosciutto cotto
quale? mi chiede la commessa
quello senza polifosfati, rispondo
sono tutti senza polifosfati, dice sorridente  la commessa - quelli con i polifosfati non esistono più.
non esistono più da nessuna parte? chiedo io alla commessa.
no, risponde lei, sono vietati. fuori legge.

Ho subito nostalgia per il prosciutto cotto con i polifosfati
che non assaggerò mai più.
che non esiste più.

giovedì 23 febbraio 2012

leccamenti

il problema adesso è che non so più se devo leccare
un dito o no.
o quale dito leccare.
se mio o di qualcun altro.
ultimamente le dita che dovrei leccare
dei benefattori, diciamo,
sono le peggiori in fatto di pulizia.
i benefattori, in senso lato
sono la ragione per la quale esistono i benefattori
se non ci fossero i benefattori
non ce ne sarebbe bisogno.
i benefattori fanno bene ad essere benefattori.
anche se un benefattore è di per se stesso
un ladro 
di leccamenti di dito.

mercoledì 22 febbraio 2012

neanche un nome suo.

quando stai appeso non puoi pensare
solo quando non sei più appeso
puoi pensare a quando stavi appeso
e riflettterci su.
uno, quando è appeso, non può pensare.
Per questo conviene, agli Stati, ai governi,
che molta gente stia appesa da qualche parte,
perché finché è appesa non ha modo di pensare ad altro
e non può darsi nessuna spiegazione.
La spiegazione viene sempre dopo,
quando uno, dopo esser stato a lungo appeso
si chiede come mai, e cos'ha fatto
per meritarsi tanta appensione.
A volte capita che l'appensione duri talmente a lungo
che alla fine, anche quando si torna in condizione normale,
non si ha più voglia d chiedersi niente.
Ci si ricorda di essere stati appesi,
ma si vuole solo dimenticare.
E questo è quando finisce il tempo del pensiero,
e comincia un altro tempo, che non ha neanche un nome suo.

martedì 21 febbraio 2012

il giorno che mi ero stufata

il giorno che mi ero stufata volevo anche dormire e non pensarci più
volevo andare a dormire e che tutte le cose mentre dormivo tornassero come mi piacevano a me.
così il giorno dopo il giorno che mi ero stufata, mi sarei svegliata e avrei detto: tutto a posto amici,
si riprende da questo giorno qui e al prima non ci si pensa.
però il giorno che mi ero stufata, e anche il giorno dopo, era inutile dormire, perché quando ti svegliavi trovavi sempre un giorno dopo l'altro, sempre giorni dove tutte le cose restavano come le avevi lasciate. allora cosa si dorme a fare, se non succedono magie. così adesso, se voglio dormire è solo per sonno, non per altro. non ho aspettative né niente. dormo per dormire, cosa dovrei fare?
a volte al massimo mi dico, domani speriamo che almeno non piova, o che non faccia freddo o che non arrivi un'altra bolletta. ma se poi piove non me la prendo, se arriva una bolletta la lascio stare.
al limite.

lunedì 20 febbraio 2012

Esempio

Uno viene invitato alla festa, 
entra, conosce un po' di gente,
la festa è pensata appunto 
perchè la gente faccia amicizia, 
si parli, si incontri.Tutto qua. 
Non c'è un altra ragione,
solo partecipare a questa festa
per conoscere le persone che ci sono
e chiacchierare con loro.

domenica 19 febbraio 2012

resoconti

Mi ha fatto veramente schifo, intendendo il  ponte dentale, gli si stacca in continuazione, a tavola, sai, e lui lo prende in mano e ne succhia il cibo rimasto perché gli dispiace buttarlo- disse la madre di Amanda ad Amanda- Gli ho detto in tutti i modi che non deve succhiare l'impianto a tavola- diceva sua madre - che è disgustoso e fa vomitare, ma lui continua al farlo, capisci. Non si rassegna a smettere.
Amanda rise, ma era anche triste. Era come se qualcosa non fosse più nello stesso posto di prima. Come il ponte del marito di sua madre.
Amanda si chiese anche cosa significasse diventare adulti, e la risposta fu: intravvedere che le cose possono non essere come le sognavi.
questa fu la risposta che Amanda si diede sulla strada per l'aeroporto il giorno che Amanda chiese a sua madre diverse cose importanti. Era da molto tempo che lei e sua madre non avevano modo di parlarsi e lei si ea messa da parte alcune domande alle quali non aveva trovato risposta. la prima fu, se i galli avessero o non avessero il pisello.
Questa domanda in realtà non era sua, era per conto di una sua amica, che qualche giorno prima glielo aveva chiesto e lei non aveva saputo rispondere e le dispiaceva, se ne vergognava anche un po' perché la domanda era abbastanza semplice. Possibile, si chiese Amanda, che in tanti anni, un particolare tanto semplice mi sia sfuggito. E Amanda aveva assicurato all'amica che si sarebbe informata. La madre di Amanda si intendeva di animali, ne aveva di tutti i tipi, aveva pecore, cani, galli e galline e quindi non era sbagliato che Amanda si rivolgesse a lei, per dirimere il dubbio dell' amica, che a quel punto era diventato anche suo.
La madre si Amanda disse ad Amanda che si, i galli avevano il pisello.
Le ricordò anche la triste vicenda di una gallina bianca che, per l' appunto, essendo stata stuprata da alcuni galli ripetutamente, era in seguito morta, proprio a causa di questi stupri dei galinaccci.
Che fine orrenda, pensò Amanda.
La seconda domanda che Amanda pose a sua madre era se si ricordasse da dove veniva suo bisnonno. La madre di Amanda disse che il bisnonno di Amanda veniva da qualche parte della Campania, ma si era trasferito a vivere in sardegna perché suo padre era una guardia carceraria, poi, per trovare lavoro, se ne era andato a Torino. Era nato in Sardegna ma non era di origini sarde, ed era vissuto a Torino, a Torino aveva conosciuto una ragazza, sarda, la bisnonna di Amanda, l'aveva sposata e avevano fatto famiglia. Aveva poi messo incinta, in segreto, anche la sorella di sua moglie, che era stata per moltissimi anni, circa sessanta, la sua amante e il suo amore. A quanto pare.
Amanda non sapeva perché quella sera voleva sapere tutte quelle cose da sua madre. Forse le voleva sapere perché sentiva che era venuto il momento di raccogliere tutto, di fare un fagotto di ogni cosa, bella e brutta della vita e tirarne in qualche modo le somme. Le somme della vita di Amanda non erano cifre tonde. Di questo si rese conto Amanda sulla strada per l'aeroporto.
Così, quella sera Amanda ringraziò sua madre per averla accompagnata fin là e per tutte le informazioni che le aveva dato, la salutò, ed entrò nell'aeroporto.

Più che un essere umano con due mani due braccia due piedi una testa, un dentro e un fuori, Amanda si sentiva come un occhio gigante , dal quale le cose passavano e se ne uscivano: un lungo tunnel.
Sentiva che le mancava un dispositivo per far si che le cose restassero in qualche modo dentro di lei e diventassero parte integrante di qualcosa di più speciale di una strada a due corsie. Amanda era stata questo tutta la vita: un tunnel, un traforo che permetteva alla realtà di passare indisturbato da un lato all'altro di lei. Un tunnel inoltre, come del resto le macchine fotografiche, sono molto buie dentro, sono un passaggio nel quale la realtà passa per ridiventare se stessa in un'altra forma, in uscita.
Tutto qua. E Amanda, sorseggiando il caffè all'aeroporto,si chiese il perché di tutte le cose a cui aveva consentito di entrare ed uscire da lei, dalle più semplici alle più complicate: dai biscotti agli esseri umani.
Per questo martedì Amanda aveva deciso di fare tutte quelle domande a sua madre, non perché le interessasse sapere davvero se i galli avevano o meno l'uccello, né se suo bisnonno fosse o meno un vero Sassarese. Semplicemente per il fatto che aveva deciso di non lasciare più che le cose passassero senza lasciare qualcosa, un pedaggio, un dono. Aveva deciso che voleva per forza capire, e si era messa in viaggio. Si era fatta accompagnare all'aeroporto ed era rimasta all'aeroporto circa quattro ore, l'aveva girato in lungo e in largo, aveva gurdato i pannelli delle partenze e degli arrivi, gli orari, la disposizione delle seggiole dove la gente aspettava. Si rese conto per la prima volta di quante persone restano sedute ad aspettare.
Le guardò e pensò: tutte queste persone non stanno facendo niente: aspettano.
Aspettano.
Pensò di studiare con calma quell'attesa altrui, all'aeroporto,voleva vedere, se in qualche modo, poteva somigliare alla sua.

mercoledì 8 febbraio 2012

differenze

i romanzieri sono più come dei costruttori di cattedrali,
i poeti sono più come dei visitatori di cattedrali.