domenica 30 ottobre 2011

limpida chiara

ad occhi chiusi l'idea mi sta davanti
limpida e chiara,
poi apro gli occhi, sono a casa,
non so come fare uscire l'idea dalla porta
senza che mi cada
che mi si corrompa quell'integrità.

domenica 23 ottobre 2011

i giorni freddi

i giorni freddi erano quelli che passano senza scoperte. tutta l'energia nei giorni freddi la si usa per non sentire il freddo. per questo nei giorni freddi non si fanno scoperte. i giorni freddi vengono uno dopo l'altro. al contrario dei giorni caldi, nei giorni freddi si mangia tanto, si desidera più che altro dormire. nei giorni freddi non si fa né un passo avanti né uno indietro. si aspetta, nei giorni freddi. che tornino i giorni caldi.
nei giorni caldi si passa il tempo a cercare il modo di raffreddarsi, si occupa molto tempo a cercare, perché il caldo sovrasta, come una pila che ha dentro troppa energia e non sa dove metterla e cerca dovunque qualcosa in cui mettere quell'energia di troppo perché non vada sprecata. nei giorni freddi è tutto il contrario, ci si accoccola, ci si nutre di paura del freddo e del buio.sono orribili, i giorni freddi, non raccomandabili.
amanda raccoglieva castagne in un bosco. non sapeva se quelle fossero castagne vere o solo selvatiche. non sapeva se le castagne selvatiche siano velenose o solo piccole, più piccole delle altre. si chiedeva se una castagna selvatica sia diversa da una castagna addomesticata, e chi mai avesse addomesticato le castagne.
le castagne hanno sempre intorno queste punte, questi gusci spinosi, come se non volessero rivelare la loro natura.
hanno intorno una specie di pelle che le protegge. ma, quando cadono, la pelle si spacca e le castagne non possono più non farsi vedere. non c'è nulla di più lontano da una castagna, che una catagna arrostita.
che senso ha arrostire una cosa con una pelle così coriacea, che ha fatto tutto quanto era in suo potere per non essere vista e toccata, si chiedeva amanda. Una castagna dovrebbe avere il diritto di starsene nel bosco caduta, di restarsene dove è caduta. dopo la fatica che ha fatto per sembrare inadatta, selvatica, piena di spine, nessuno dovrebbe chinarsi su di lei e portarla via per arrostirla.
ti piacciono le castagne arrosto? no, e a te? mi piace l'odore, non il sapore. solo l'odore.
nel bosco tutte le castagne cadevano giù, e luis diceva che bisognava stare attenti, che era pericoloso per via di quelle spine,a non prendersele in testa.
luis aveva sempre paura delle cose praticamente innocue, pensava amanda, ma luis era serio quando diceva che le castagne cadendo possono far male, perché cadono dall'alto.
certe paure di luis, amanda non le prendeva sul serio, perché luis aveva delle paure troppo piccole. amanda pensava che luis aveva bisogno di queste paure perché le paure grandi erano troppo grandi per abitare nella testa di luis. 
e quella era anche la sua fortuna.
restarono nel bosco, dormirono un po', sdraiati sulle foglie, perché avevano dimenticato il libro in macchina. poi luis, ogni volta che sentiva un rumore, saltava leggermente con il corpo come se fosse sul chivalà, per via delle castagne, che aveva paura delle castagne. amanda invece dormiva bene sulle foglie, non aveva paura delle castagne e sentiva che il corpo stava bene sulle foglie. anche se c'erano a volte degli insetti che si infilavano, li lasciava fare, non aveva voglia di comandare a casa loro. gli insetti facevano una passeggiata sul corpo di amanda, ma amanda dormiva, non voleva farsi accorgere che non era un pezzo di legno o una cosa qualsiasi del bosco, come le altre. luis cacciava tutti, anche le mosche, anche i moscerini e le formiche, non voleva nessuno, perché nel bosco non si fidava, ed per via delle castagne.
la differenza era tutta lì, tra amanda e luis.

lunedì 17 ottobre 2011

sei tu che cacci la preda per la leonessa

alla fine poi dio dice a giobbe ma tu dov'eri
mentre io facevo la terra
dov'eri quando facevo questo e quello?
hai vagato per il fondo dell'abisso?
ti sei spinto ai padiglioni della neve?
da quale seno è nato il ghiaccio?

come se fosse colpa di giobbe non sapere,
una cosa che in realtà dipende da jhavè,
che parla così 
per fare la voce grossa e confondere giobbe
facile per jhavè avere sempre ragione lui
difendersi con il silenzio
o difendersi con fiumi di parole
è quasi lo stesso
è sempre prevaricazione
intanto giobbe capisce che con questo non c'è niente da fare
non si ottiene risposta.
sarà sordo? si chiede giobbe
se fosse sordo allora si spiegherebbe il perché del ritardo,
tutti questi fraintendimenti,
se fosse sordo si spiegherebbe anche
perché strilla tanto nelle orecchie.

così giobbe si sottomette, 
si accuccia nella polvere
che importa, dice giobbe,
è fatto così.
è fatto così e gli voglio bene così
e chiede scusa.
scandice bene le parole
senza nulla sapere ho detto cose troppo al di sopra di me.
ho fatto domande che non si dovevano fare, scusa.
ma quelle domande erano dentro di me
si erano generate da sole
io potevo scegliere se portartele 
o tenerle dentro
ma non potevo scegliere di farle esistere o no
e anzi, ora che ci penso
dov'eri tu, quando nascevano queste domande?
ma niente, nessuna risposta.
silenzio di nuovo.

qualche pagina dopo giobbe torna sano e salvo
dio gli ripristina la vita
i figli uccisi per la prova
glieli restituisce
ma non gli stessi
perché per dio i figli valgono come numero
come gregge,
non come nome.
se anche giobbe gli dicesse, tu che puoi tutto
se non ti costa molta più fatica, restituiscimi i miei
di prima,
preferisco
sicuramente dio non vedrebbe il senso di questa domanda
perché cosa mai può essere un figlio per dio
una cosa piccola con due gambe e due braccia
e si arrabbierebbe ancora di più.

così la storia finisce come era cominciata
in modo distratto
come se qualcuno avesse fatto fretta 
per un finale qualunque
purchè
dal moderato lieto fine.

domenica 16 ottobre 2011

il taccuino di gus

La sera della pasta in bianco era tutti o quasi i giovedì, ma poteva anche accadere di domenica e qualche volta anche di più. Anche se Mara e Amanda erano cugine al settimo grado i loro figli si chiamavano cugini, vivevano in forma di cugini e nessuno avrebbe potuto affermare il contrario. La sera della pasta in bianco quando Mara e Gus suonavano, dopo neanche cinque minuti fgli adolescenti erano in camera a farsi veri discorsi da cugini. Uscivano dalla stanza, entravano in cucina, mangiavano la pasta in bianco guardandosi di sottecchi,quando l'ultimo aveva finito faceva un cenno all'altro e tornavano nella camera a continuare quello che avevano lasciato a metà. Nessuno, nè Amanda nè Gus né Mara, poteva sapere nulla su quali fossero gli argomenti trattati nella stanza dei cugini.
Amanda Mara e Gus invece stavano per lo più seduti ad aspettare la pasta in bianco, senza agitazioni. A Gus piaceva mangiare con la televisione, ma a casa di Amanda la televisione non c'era. Bisognava per forza parlare. A Gus piacevano i morti, come argomento. Quando guardava la televisione si distraeva, ma a tavola, la sera della pasta in bianco, non disponendo della televisione, Gus finiva in un modo o nell'altro per parlare dei morti, che era in definitiva quello su cui Gus si riteneva più ferrato. Amanda sapeva che la sera della pasta in bianco era la sera che Gus, non avendo a disposizione la televisione, avrebbe certamente introdotto i morti e moribondi, come argomento declinato nelle sue svariate ed imprevedibili potenzialità.La grandezza di Gus era comunque che non si ripeteva mai, forse perché la morte per lui godeva di infiniti punti di osservazione. Da molti anni aveva preso l'abitudine di appuntarsi, come un mantra tutto suo, su un suo taccuino, i nomi di  tutti quelli che aveva conosciuto, amici, parenti e conoscenti, che avevano tutti in comune il fatto speciale di essere dei morti. Lo rilassava, diceva Gus, e lo faceva pensare.
Quando, durante la sera della pasta in bianco si era a corto di argomenti, bastava che Gus ripensasse al suo taccuino e ai nomi scritti sul taccuino per far decollare qualcosa.Se non erano amici, Gus, tirava fuori santi o gente spiritualmente avanzata, come Padre Pio o Papa Giovannipaolo, visti dal punto di vista del catarro e delle piaghe purulente.
La cena lo consentiva. I cugini erano nell'altra stanza con le loro cose.
Gus usava i suoi  morti come grani di un rosario personale, per raggiungere, in un certo senso, uno stato di relax. Non lo agitava pensare ai morti, anzi, quando ne parlava si animava e parlava con grande proprietà di linguaggio.Era padrone di quel teatrino di cui poteva sopostare a suo piacimento le figurine e dirne ciò che voleva. Nessuno avrebbe potuto dire che le cose non stavano o non erano state come Gus diceva. Nessuno sarebbe mai andato a recriminare imprecisioni, erano tutti in pace con la sua versione dei fatti.
Amanda a volte si immaginava di essere un giorno uno di quei granelli di Gus e si sentiva a disagio per gli altri, si sentiva come solidale con quegli sconosciuti rantolanti o appena depositati.Quelle sere della pasta in bianco, quando Gus attaccava,Amanda stava un po' con Gus e un po' stava con i granelli. Nel frattempo si occupava della cena, di far girare la pasta in bianco nei piatti o di bere o di offrire del vino. Mara sapeva già tutto. Conosceva già per filo e per segno la fine, i rantoli e le prime avvisaglie di malattia di tutti. Non dava segni di sconforto né di impazienza, piuttosto seguiva Gus nel racconto, per essere sicura che Gus non ci ricamasse sopra. A volte lo interrompeva, lo correggeva, minimizzava, semplificava alcuni particolari per raggiungere il finale più rapidamente e con maggiore precisione, di quanto Gus forse desiderasse. A Gus piacevano quelle storie di morti e le banane. Amanda pensava sempre a non far mancare le banane, le sere della pasta in bianco. Gus mangiava la banana e sgranava il suo rosario, al posto di guardare alla televisione storie vere di gente sfortunata. 
Gus aveva bisogno di tanta sfortuna altrui, per riempirsi le tasche di quella sfortuna e non aver più posto per la propria, che era sempre appostata. E poi le bamane. Gus poteva mangiare anche due banane di seguito. Se non avesse dato troppo nell'occhio, (le banane Amanda le comprava solo per lui, nessun altro mangiava banane le sere della pasta in bianco, oltre a Gus) ne avrebbe mangiate forse tre, o anche quattro.
Non si poteva sapere quante banane gus fosse in grado di mangiare, se non avesse avuto il pudore che aveva. 

Gus non era una persona solare, ma sapeva scatenare l'ilarità, senza volerlo.Come quando in cantiere ascoltava alla radio Radio Maria.


Amanda non portava rancore a Gus per la volta che con l'avvitatore le aveva bucato l'unghia del pollice mentre avvitavano un finto soffitto a cassettoni, e neanche per la volta che perdendo l'equilibrio dal trabatello si era aggrappato ai suoi capelli con tutto il suo enorme peso.
Quando lavoravano insieme Amanda e Gus, era Amanda la dipendente  di Gus, ma era lei a comprargli le viti e lei ad offrirgli la colazione. Quando Amanda si portava dietro il pranzo, Gus si comprava una pagnotta e mangiava solo quella, senza niente dentro, per risparmiare perché non aveva mai soldi. tutti i soldi di Gus andavano alla famiglia e per Gus non restava niente da investire nei lussi. In certi periodi Gus considerava un lusso anche il dentro del panino.

Tutto quello che veniva fuori da Gus era insieme tragico e comico.
A Gus, oltre ai suoi morti, piacevano i santoni e gli esseri con una religiosità perentoria e misteriosa. Leggeva libri che trovava nelle cantine o nelle soffitte che svuotava, raccoglieva segni e li metteva insieme. Gus aveva bisogno di qualcuno che gli indicasse una strada da percorrere almeno per un po'. 
Portava la croce al collo, leggeva con attenzione di miracoli, miracolati, vite dopo la vita,cerchi nel grano, segni della presenza di alieni, faraoni, si interessava a santoni con la jaguar che distribuivano il proprio sapere con cassette per raggiungere la consapevolezza e cercava la sua verità in quel disordine, in quel cumulo di verità non sue e non per lui.
Gus era una specie di santo mancato, pensava Amanda. Se avesse trovato il terreno giusto, Gus sarebbe stato un santo, ma le condizioni non glielo avevano permesso. Gus doveva accontentarsi di reliquie non sue, di fedi frammentate, di informazioni estrapolate da video cassette di santoni prestate da amici.
ma con tutto questo Gus creava sistemi alquanto originali, che non cominciavano e non finivano, nei quali la formula ricorrente era Perché comunque certe cose sono comunque vere,anche se non lo sappiamo, alcune cose sono successe o possono succedere. E noi non lo possiamo sapere.
Alla fine della sera della pasta in bianco, quando ritirava i piatti e Gus e Mara si preparavano per tornare a casa, urlando al loro dei due cugini Adesso è ora e ringraziavano, sulla porta, per la pasta in bianco.
Allora Amanda, come Gus, pensava Noi, non lo possiamo sapere.

mercoledì 12 ottobre 2011

certi spazi

 
Amanda si chiedeva se l'uomo tricheco non fosse arrivato nella sua vita come un chiodo. Ad un certo punto, pensava Amanda, dio ha mandato l'uomo tricheco a non sbattere mai la porta. ad amanda piaceva sentire che l'uomo tricheco non era suo e le piaceva che l'uomo tricheco camminasse con il peluche addosso tutti i giorni vicino a lei,ma non per lei. C'era un dentro e c'era un fuori.
L'uomo tricheco aveva mostrato ad Amanda la propria arte di morire e risorgere. Quando era vivo, era un uomo normale o un tricheco normalissimo che si aggirava per l'ipermercato con il suo peluche a distribuire volantini, a mettersi in posa o anche semplicemente a ballonzolare per divertire i bambini, ma prima di morire, quando moriva e subito dopo, era una cosa del tutto diversa; il tempo di amanda con l'uomo tricheco era quando l'uomo tricheco le mostrava quelle prove di trapasso. L'uomo tricheco disse ad Amanda che non ci voleva niente a morire, bastava non voler vivere per un po', bastava ritirare i remi e aspettare. Per risorgere, spiegò l'uomo tricheco ad Amanda, la cosa è altrettanto semplice, basta rimettere i remi in acqua e puntare da qualche parte.
L'uomo tricheco si manifestava dunque sotto la sua forma esplicita, in forma di tricheco balzellante, e sotto la sua forma contratta, come divintà del globoterracquo. Le due cose erano perfette e Amanda era felice che quella sorte fosse toccata a lei, anche se non sapeva di quale sorte si trattasse, né fin dove questa sorte fosse destinata ad accompagnarla.
La sera amanda aspettava che l'uomo tricheco finisse il turno, a volte era l'uomo tricheco a finire prima di lei, a seconda dei giorni; chi finiva prima si sedeva ad aspettare. Una sera andavano a mangiare al bus delle pizze, che aveva un forno al legna e il tubo in alto da cui usciva il fumo, ordinavano una pizza grande e la mangiavano in seduti in macchina. L'uomo tricheco mostrò ad Amanda le foto dei suoi figli e di sua moglie. Era una fotografia non in posa, in cui ciascuno guardava dove voleva. Amanda disse, bella. Non sapeva cosa dire. Pensò che c'erano molti dentro e molti fuori nella vita di tutti, non solo nella sua. Che si andava e veniva da un dentro a un fuori e si rientrava in un altro dentro per uscire poi in un altro fuori. E non si stupì che l'uomo tricheco avesse coltivato l'arte di morire e risorgere. Forse, pensava Amanda, è quello il modo per poter andarsene e tornare, forse c'è un passaggio, una zona d'ombra, né di qua né di là, uno spazio piccolo, nel quale non esiste nient'altro che spazio, nel quale, tra una morte e una resurrezione, l'uomo tricheco si beve una birra da solo. Indisturbato.
Amanda non disse che avrebbe desiderato bere una birra con l'uomo tricheco precisamente in quel luogo sospeso, di cui nessuno aveva le chiavi, tranne l'uomo tricheco. Non lo disse perché sapeva che era come chiedere a una formica di visitare il suo formicaio, o a un'aquila di invitarti nel suo nido. Certi luoghi sono o troppo piccoli o troppo grandi o troppo in basso o troppo in alto, per contenere più di un solo individuo.


domenica 9 ottobre 2011

i gatti

i gatti. 
amanda aveva un'amica, cè, che quando sedeva, aveva mile gatti che le ruotavano intorno alla testa come satelliti. era una divinità dei gatti, cè. 


venerdì 7 ottobre 2011

la parola fading

L'uomo tricheco aveva detto ad Amanda che si potevano vedere e questo fu quello che l'uomo tricheco disse: ci possiamo vedere ma non so quando, ti chiamo io. Però, pensò Amanda, questa cosa, dove la mettiamo? 
Poi passarono alcuni giorni nei quali Amanda non seppe cosa fare. Aspettava e aspettava e anche la domanda: questa cosa dove la mettiamo? si stemperò nell'attesa che l'uomo tricheco le dicesse dove e quando.
quando il giorno arrivò fu un giorno normale, di sole, e Amanda si preparò molto bene erché era da molto tempo che qualcuno non le diceva ci possiamo vedere. era una cosa un po' all'antica, che non sapeva come prendere. Inoltre l'uomo tricheco si era comportato stranamente, da quando era uscito dal tricheco. Non aveva fatto molto. Si era limitato a fare il minimo indispensabile, cosa che Amanda aveva trovato molto nello stile dell'uomo tricheco, anche se non lo conosceva.
Così Amanda si preparò per vedere l'uomo tricheco. E quello fu un incontro che fin dall'inizio Amanda non seppe dirigere da nessuna parte. L'uomo tricheco era un tipo di uomo tricheco che aveva sempre un piano, una specie di programmazione, nella quale ad Amanda spettava il ruolo di chi siede a fianco al posto del guidatore.
L'uomo tricheco guidava e Amanda aspettava che la giornata con l'uomo tricheco finisse per poter mettere bene in linea le verticali con le orizzontali e trovare finalemente la parola. Ma l'uomo tricheco, tutto quello che Amanda prevedeva, non lo faceva. 
Amanda non poteva pensare niente, che l'uomo tricheco un attimo dopo la contraddiceva con i fatti.
Per esempio Amanda pensò che l'uomo tricheco avrebbe fatto un discorso, ma l'uomo tricheco non fece nessun discorso. Poi Amanda pensò che l'uomo tricheco non avrebbe detto niente, invece l'uomo tricheco disse qualcosa. Disse: ti piace l'insalata?
Poi fecero l'amore e poi l'uomo tricheco riaccompagnò a casa Amanda infreddolita, in piena nottem che si senza più pensieri. Alla fine, prima che fosse mattino, l'uomo tricheco se ne andò, se ne andò come se ne va un uomo tricheco, se ne andò nel fiume, a costruire una diga con i denti. E lasciò amanda senza parole dentro.
Quando fu giorno Amanda si preparò un caffè e si disse che quello che era successo non era successo davvero, era una cosa che non stava da nessuna parte. 
Poi Amanda pensò a Luis, a come se n'era andato sbattendo la porta, e pensò che l'uomo tricheco non almeno non aveva sbattuto niente. Che era un tipo di uomo tricheco che andava e veniva senza sbattere porte, come se le porte non si aprissero e non si chiudessero. Come se le porte non ci fossero, pensò Amanda. E le venne in mente  fading. svanire. non essere più, venire meno, sbiadire, con garbo.

mercoledì 5 ottobre 2011

Breve appunto su Mo'

Quello che Mo' voleva dire non si poteva riassumere. Mo' non faceva
quelle frasi fatte, faceva delle cose. Se volevi seguire Mo' dovevi
seguire l'andamento delle cose di Mo': come Mo' le creava e poi le
distruggeva. Mo' metteva la stessa energia nel creare e nel distruggere perché Mo' non aveva paura. Si comportava sempre seguendo propri parametri precisi. I parametri di Mo' stavano spesso
scritti su libri che Mo' sottolineava. Quello che Mo' imparava e sottolineava Amanda lo leggeva nei mobili di Mo', che Mo' comprava o smontava o dava alle fiamme. Amanda pensava che fosse per quello che Mo' aveva due stufe, una per scaldarsi, l'altra per bruciare tutto quello che le dava fastidio o la insultava. Se qualcosa o qualcuno insultava Mo', quella era certamente la sua misera fine, pensava Amanda tagliando la legna di Mo'.
Mo', la sua saggezza, la esprimeva in questo modo. Quando dava consigli, i consigli di Mo' si limitavano sempre a istruzioni semplici come: brucialo, liberatene, dallo alle fiamme. Questo perché Mo' non aveva figli, pensava Amanda.
Amanda amava tutto quello che Mo' dava alle fiamme, perché ne percepiva il futuro precario.
Per Mo', il futuro di Mo' era il disegno del futuro di Mo' disegnato da Mo'; il presente di Mo', per Mo', era scegliere tra un pollo a pezzi morto nel microonde o una gita in valdaosta.
Quando Amanda amava troppo il fratello di Mo', Mo' le aveva comprato una bottiglia di vino e un pacco di patatine alla Lidl, per farglielo dimenticare; perché le cose che Amanda guardava per mille anni a Mo' bastavano cinque minuti per disgregarle in anonime proprietà organolettiche. Questo andava anche per l'amore e per il dolore. Se c'era un amore troppo grande per Amanda, se c'era un dolore troppo grande per Amanda, allora Mo' comprava patatine e vino alla Lidl.

Il fidanzato di Mo' aveva una catena d'oro e parecchi peli sul petto. Amanda sapeva che il fidanzato di Mo' aveva i giorni contati, perciò lo amava. Il fidanzato di Mo' aveva una catena d'oro e parecchi peli sul petto, ma Amanda sapeva che tutti i peli del mondo e tutte le catene d'oro non l'avrebbero salvato dalla stufa.
Il fidanzato di Mo' tagliava il salame, e parlava con Mo' di matrimonio, diceva Mo', non capisco cosa c'entri il nostro matrimonio con la piattiera rossa. Ma Amanda sapeva che se Mo' diceva che una cosa di legno c'entrava con una qualsiasi altra cosa, quello era segno che non c'era assolutamente da scherzarci sopra. Ma il fidanzato di Mo' per certi aspetti era come Mo', però meno di Mo'. Il fidanzato di Mo' in effetti, con tutti quei peli e la sua catena d'oro al petto, aveva maturato un certo senso di virilità, che gli dava la possibilità di tagliare il salame indisturbato e di chiedere a Mo' che cazzo c'entravano tra loro un matrimonio con una stupida insulsa piattiera rossa.
Ma Mo' non si interessava alle connessioni logiche che non fossero direttamente ispirate da Dio, soprattutto un matrimonio. Il matrimonio di Mo'.
Amanda si era sognata il matrimonio tra Mo' e il fidanzato di Mo', si era sognata che avrebbero cantato e bevuto e che alla fine Mo' e il fidanzato di Mo' avrebbero avuto un figlio e che al momento giusto questo figlio avrebbe ricevuto in dono una catena d'oro e dei peli.
Quando il fidanzato di Mo' ebbe finito col salame non si parlò più di matrimonio né della piattiera rossa, non c'era bisogno di parlarne e Mo' mise qualche pezzo di legno nella stufa prima di sedersi a tavola.
Amanda e Mo' e il fidanzato di Mo', durante la cena parlarono appena. Mo' era stufa e anche il fidanzato di Mo' era stufo. Amanda guardava la catenina del fidanzato di Mo', pensava a come Mo' era stata fiera di quella catenina che adesso voleva bruciare per colpa di una piattiera dell'ikea. Amanda pensava che non avrebbe mai preso in considerazione la catenina, che non avrebbe mai preso in considerazione la piattiera e che non avrebbe mai preso in considerazione nessun matrimonio. Mo' aveva preso tutto in considerazione e in cuor suo lo aveva bruciato, anche se ancora non lo si poteva vedere.
Mo' intendeva le cose in un modo suo, che Amanda vedeva solo fino ad un certo punto, perché Mo' non dava a vedere tutto. Mo' era molto forte, ma era anche molto debole, altrimenti non si sarebbe attaccata a tutte quelle piattiere. Forse Mo' in quel momento voleva dire al fidanzato con la catenina, che la catenina non bastava, che ci voleva un passo che Amanda sapeva che se il fidanzato di Mo' avesse fatto quel passo Mo' avrebbe spento la stufa e si sarebbe seduta all'improvviso, il pollo nel microonde sarebbe tornato surgelato e forse persino, da surgelato, sarebbe tornato gallo.



dove finisce il segno

oh se tu avessi tempo
se tu avessi tempo tutto di allargherebbe
e si potrebbe andare dietro alle cose
dietro a cui non siamo mai stati
se tu avessi tempo
il tempo si allargherebbe e ci farebbe passare
direbbe prego, per di qua, ma si figuri
non c'è problema
e si tornerebbe al bar del porto
e si tornerebbe al preciso momento del martini
dell'infilare l'orologio nel taschino
far cadere i sacchetti come fanno i vecchi
se tu avessi tempo non ti sbaglieresti strada
e non indicheresti me
per indicare il piede
ti porterei semplicemente
dove non correvi su e giù
per imparare ancora una parola in più d'inglese
dove le donne erano qualcosa su cui piegarsi
di fronte a cui genuflettersi a caso
ti porterei a guardar marmotte
sveglie nel grande freddo
guardare l'inverno fuori tempo
il sogno di tutte le marmotte
l'inverno fuori tana
senza sonno
senza primavera o senza cibo
il paradiso della neve
a cantare
dove finisce la strada
a cantare
dove finisce il segno
la traccia
e resta solo il canto
senza l'orecchio
a farlo entrare.