sabato 30 ottobre 2010

ore nove, bar del centro

Entro nel bar e chiedo un cappuccino. Il barista è distratto, prende il bricco con il latte, immerge la punta della lancia vapore sulla superficie del latte e aziona il getto di vapore:  la schiuma si alza e il volume del latte cresce. Il latte cresce ma lui non abbassa il bricco, il suo braccio si è come bloccato e lui non guarda il bricco e non si cura minimamente del braccio paralitico. l'uomo è da un'altra parte,lo sguardo senza un fuoco, senza precisione, è altrove, in un altrove che non si capisce dove sia. Se anche solo per un attimo si voltasse e mi vedesse, gli direi: ehi, barista, vacci piano col mio cappucciono, la schiuma sta colando! la mia schiuma!. Ma non succede niente. La lancia, sempre immersa nel latte, comincia a scaldare troppo, il latte crea un effetto vortice e mentre lui è ancora a suo modo distratto, il vapore ha un orgasmo col latte e la schiuma comincia a debordare.Continuo ad assistere ma la faccenda ormai non mi riguardapiù è un fatto privato loro, tra il barista e la sua mano, tra la sua tazza e la sua schiuma e il suo latte.
Ormai non mi viene più da dire niente, anche se mi guardasse resterei muta o al limite, sorriderei. Lui, il barista del grande bar del centro, (bar storico, dove il cappuccino te lo fanno pagare intorno ai due euro), dal canto suo, non si preoccupa. 
Ora la schiuma è in gran parte colata giù, a terra dietro il bancone,lui versa parte del latte sobbollito, con la poca schiuma rimasta, nella tazza da cappuccino presa dalla macchina per i caffè.  Versa il tutto con gesto assente, facendo percolare parte della schiuma lungo il bordo della tazza. Una merda. Con una spugna giallina per pulire il bancone, mi netta il bordo della tazza, l'assetta sul  piattino e a questo punto, con sguardo spazientito si guarda intorno, per vedere a chi sia destinata la sbobba mattutina. Come un cane ossequioso mi agito leggermente per far capire, che quella cosa che lui ha nella mano sono io, è destinata a me, sono io che l'aspetto. E finalmente faccio colazione.
 

lunedì 18 ottobre 2010

le mani delle donne

da quando non ci sei la casa si è infuriata
ha messo polvere e polvere
è strano questo dovunque
dovunque guardi non ci sei
dovunque tocco
tutto si spoglia
si dimentica di te
del tuo passaggio di ieri
del tuo squillo di oggi pomeriggio.
la poltrona non dice nulla
il tavolo è rimasto fermo
solo la luce ha tremato un poco.
le mani stanno in movimento
prendono in consegna il resto della storia.
avessi voluto dirlo
avresti potuto
prima di un viaggio
ci si saluta meglio.
portiamo tutto di là
ci dicono cosa fare
le cose pratiche
ogni piccolo particolare
le parole, gli occhiali
mi ricordano i tuoi occhi
i biscotti
la bocca
le scarpe i piedi
i libri con le lettere
con le parole
coi verbi che mi insegnavi
sono tutti in ordine.
io seguo la scrittura e la scrittura tace.
c'è qualcosa in un mistero
che non si dice
perché mi hai sempre detto
buon giorno e buona sera
anche dopo.
prendo il pane
lo sposto in là
prendo il pane
lo spezzo anche dopo
lo sposto anche dopo
prendo il tempo anche dopo
lo sposto in là
lo spezzo, anche dopo,
lo mangio incompiuto
come un dipinto.
siamo mai stati insieme in una fotografia?
cadisch.
cadisch.
cadisch.
tu chiami, io ti trovo.
siamo dal'altra parte
e quello che so
che siamo
ora che non so
che siamo dall'altra parte
e mi prendo
in braccio
la tua gamba
l'avanbraccio
lavo
ti porto
ti prendo
in braccio
chiamo qualcuno perché non la trovo
la parola meth
sul dizionario.
così poca cosa in confronto al peso che porto
ci sei?
ancora
e ti chiamo
con questo dito.


domenica 17 ottobre 2010

più facile

per colpa di quella abbiamo di nuovo dovuto discutere. poi ho dormito per strada perché non volevo andare da nessuna parte. non volevo chiedere niente a nessuno e nemmeno che qualcuno chiedesse a me qualcosa.poi sulla strada c'era un piccione che non era morto, era solo contro un cancello, perché forse voleva morire ma non trovava un posto sicuro. l'ho guardato un po', era vivo. ma non sembrava vivo. poi ho camminato ancora e c'era un piccone schiacciato sulla strada. poi ho camminato ancora ma non arrivavo da nessuna parte. ma non potevo fermarmi. è troppo pericoloso fermarsi quando non si sa dove andare. ho camminato per non fermarmi. e anche per lavarmi. dovevo lavarmi le gambe.avevo questo pensiero fisso. il dietro delle gambe. lavarmi il dietro delle gambe.ma quello perché nel locale dov'ero andata a pisciare mi ero dimenticata di non sedermi e me ne sono ricordata solo dopo che ho sentito tutto quel bagnato orribile sulle gambe che ra evidentemente la piscia di qualcuno, una cosa orribile. no, non orribile, in realtà. cose che capitano. cose che capitano. che possono capitare. non c'è niente di male a sedersi su un cesso con l'asse dove qualcuno ha pisciato non c'è niente di male. ci sono cose peggiori mi dicevo mentre camminavo. ma devo ricordarmene. non devo assolutamente dimenticare questa cosa. lavarmi il dietro delle gambe. mentre cammini il tempo passa in un altro modo. è un tempo diverso.

pensavo a ieri mattina che hanno detto sul giornale che hanno scoperto una cosa sulle mummie egizie. che le mummie egizie non avevano il cancro. non come noi.

le mummie egizie non avevano il cancro. morivano più sane. nell'antico egitto. perché non fumavano probabilmente e non avevano tutto quest'inquinamento che abbiamo noi. 

pensavo a questa mummia egizia, che ormai era morta e quasi la invidiavo. ma non sapevo se la invidiavo perché era già morta e non ci doveva pensare più o se la invidiavo perché era sana e senza cancro. a volte camminavo dall'altro lato della strada perché avevo l'idea che fosse meno pericoloso. è meno pericoloso camminare da quale parte? mi chiedevo. non me lo ricordo più. c'era una parte che era meno pericolosa. da una parte le auto ti arrivano dietro la schiena. dall'altra ti arrivano in faccia. e quella è la parte meno pericolosa perché se le vedi le puoi anche schivare, se loro non si allargano. 

le macchine, le auto, sono spietate. per uno a piedi.

è una realtà che si capisce solo sulle strade grosse, a lunga percorrenza. quanto le auto siano spietate e fredde. 

un auto è incapace di concepire umanità.

e anche i guidatori sono lo stesso. sono ricoperti di inumano.

 

mi veniva da chiederti solo cose assurde come la questione della novalgina.

dove va il mal di testa quando la novalgina te lo fa passare. perché niente si crea e niente si distrugge.

dove va? la novalgina passa come una mano di bianco sul mal di testa, ma se togli il bianco, sotto c'è il mal di testa. se ci pensi, se fai attenzione, lo puoi sentire che quello che dico è vero. 

è vero.

tu non mi credi mai.

per questo camminavo ieri.

camminavo per essere creduta e per non restare sempre a fare finta. bisogna a un certo punto cercare qualcosa, un punto, qualcosa che sia vero.

un punto vero.

per strada è più possibile che in casa o in macchina.

è più facile per strada.

perciò camminavo.



giovedì 7 ottobre 2010

il posto della salvia

si. c'è la salvia. la salvia è venuta dentro da noi. sta sui fornelli adesso.
perché la salvia e noi no? chiedono le altre piante che stanno fuori al freddo sul balcone.
eh, perché lei la salvia si era tutta rattrappita in questi giorni
stava malissimo
le si erano tutte le foglie non so come dire, si erano rattrappite
si erano rimpicciolite
si vedeva che soffriva stava male e basta
perciò la salvia adesso sta dentro con noi
sui fornelli
lo so che è un'ingiustizia
perché le altre non possono entrare
non si può mettere tutte dentro
dentro ci stanno i piccolini
i grassi
quello piccolo e quella pelosa che stanno sul davanzale
ma le altre mi dispiace
devono stare fuori
lo so che la salvia non è piccola e non è grassa
ma mi faceva pena
lo so che non è giusto
che non è proprio giusto
cosa dovevo fare
lasciarla fuori?
per la giustizia?
no. aveva le foglie troppo infreddolite
troppo piccine per star fuori.
adesso per un po' starà qui sui fornelli poi non si sa
le troveremo un posto migliore.

venerdì 1 ottobre 2010

 qui è a. che spezza il pane

 qui è le uova e la polenta sul fuoco che aspettano di bollire

 qui in grande è di nuovo le uova che tra loro sono diverse e aspettano di bollire
 qui è la bellezza e la rotondità della bellezza delle cose semplici
 qui è la minaccia di a. che guarda tra i denti come se si tagliasse lui
qui è l'inizio