giovedì 23 giugno 2011

Touch me with your naked hand or touch me with your glove



















correre un rischio significa che sei consapevole di correrlo
in questo caso forse non c'era consapevolezza ma soprattutto
non c'era scelta.forse c'era scelta, ma la scelta era tra il rischio da correre e un rischio ancora più grande. il rischio di non poter correre più alcun rischio.
dal momento che non riesco a pensare all'esistenza come ad una
condizione di sicurezza permanente, non mi è stato possibile
rinuciare al tentativo di perseguire alcuni miei desideri.
anche se tali desideri non avevano molte possibilità
di realizzarsi. il tempo nel quale ti dedichi alla realizzazione di un desiderio non è un tempo volato.
il problema è semmai stabilire quando questo tempo finisce e ne subentra un secondo
il tempo di realizzare che i desideri non si sono realizzati.
il tempo di sucare.
questo tempo, diciamo, di sucamento, è un tempo che non apporta nulla alla vita, perché è un tempo in cui nulla dipende più da te
ma sei tu, invece, a difendere te stesso dalle cose e dalle situazioni che ti stanno intorno.
spesso insorge anche una sensazione di paura, di bisogno di stare in luoghi piccoli e protetti
o comunque in cui le cose e le situazioni non sfuggano al tuo controllo.
dato che tutto il resto, invece, è, appunto, fuori, sia dal tuo controllo che dalla tua volontà.
a molte persone questa situazione capita raramente nella vita, e quando capita loro, la trovano un'esperienza devastante da non ripetersi mai più.
a me, personalmente, è capitato molte volte. ogni volta ho la sensazione che si tratti di un'esperienza devastante, ma ogni volta, avendone la possibilità, non rinuncio a desiderare che le cose possano andare in un altro modo.
è come comprare molti gratta e vinci e convincersi che dal gran numero sortisca la possibiltà.
in effetti non sono una grande esperta in nulla tranne che di questa sensazione di perdita delle possibilità.
individuo molte possibilità. per questo forse molto adatta a perderle.
per concludere questa riflessione notturna, futile ed inutile, che faccio solo per tenermi sveglia dato che tra poco dovrò andare a prendere mio figlio che però non vuole essere andato a prendere fino a mezzanotte e mezza, dico solo più che vorrei che qua vicino vivesse un grande saggio del villaggio e bussargli alla porta e chiedergli: ma secondo lei, grande saggio, cosa dovrei fare io?
e se lui fosse abbastanza chiaro, non troppo sibillino, io cercherei di seguire le sue istruzioni.
perché adesso sono davvero stufa di inventarmi cose da sola, per non sentirmi definitivamente senza speranze.
che poi quando dico questo senza speranze, non penso tanto ai soldi (certo, anche i soldi mi preoccupano, ma non sono la cosa che al momento mi proccupa di più), parlo proprio di questo senso come di stare come in un labirinto,
un labirinto senza vie di uscita.
chissà se questa cosa del labirinto sarebbe comprensibile al grande saggio.
non si può sapere.
comunque io, gli direi, mi sento così. se può aiutarmi.
ma forse lui scuoterebbe la testa come i grandi saggi fanno spesso e direbbe: no.
e non si capirebbe se questa risposta, No, sia un vantaggio o uno svantaggio. se lui sia un saggio vero o un falso saggio. non si capirebbe, perché chi potrebbe sapere se uno che ti dice che non sa come aiutarti, te lo dice perchè è il suo modo per aiutarti o perché non gliene importa niente di te?
e quindi siamo da capo.
la notte, a volte, mi sveglio e penso. e penso che vorrei dormire invece di pensare.
pensare è meglio pensare di giorno, di notte è meglio, molto meglio, dormire.
gli altri animali dormono, di notte, e hanno molti meno problemi a correre o brucare durante il giorno.
anche se oggi, a dire il vero, ho fatto dieci vasche in più in piscina, ma quello dev'essere stato perché mi cantavo sott'acqua dance me to the end of love di leonard cohen che non so come mai mi era venuta in mente dopo la quindicesima vasca.
non si sa perché certi giorni tutto sembri buono e ancora possibile e certi altri ci si senta così con le mani tranciate via e la faccia schiacciata contro al vetro.
perché certi giorni siano così pieni di speranza e felicità, a pensare a certe cose anche del cuore, che fanno illuminare tutto senza sforzo, e poi se ne riprecipitino nel buio della notte, nei conti alla rovescia, nel calcolo delle paure e delle meschinità di cui tutti, ma io in particolare, siamo vittime. quando siamo fuori dall'acqua della piscina. mentre guidiamo, mentre facciamo la coda, mentre telefoniamo con quel cazzo di telefonino del cazzo.
ci ho pensato bene. non voglio più fare poesia. non voglio più cercare di occuparmi della forma o del ritmo o della bellezza delle cose. forse che il ritmo e la forma e la bellezza delle cose si occupano di me?
quasi mai. e allora, se la poesia verrà, verrà quasi mai.

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