Anche adesso, per esempio, ho preso a scrivere sperando che mi tornassero in mente. Ma niente.
Non ricordo mai le parole precise. Parlavi del senso della vita, di cosa ci stiamo a fare qui, se non per fare un grande tentativo gigante e inutile.
La partita è già persa, questo me lo ricordo. Ricordo che me lo dicevi e che questo mi aveva fatto subito pensare a giobbe. A dio che dice a giobbe, caro giobbe, cosa vuoi da me?
Io non ci sono. Non è a me che devi attribuire il male che ti succede. Non c'è niente, non c'è nessuno. Il male non ti succede. Il male è come un pulviscolo senza intenzione, se ti si posa addosso non è per un disegno, non è per volontà mia o di qualcun altro, nessuno pensa a te, né a premiarti né a punirti. In effetti fondamentalmente tu sei una cosa tra le altre ed è molto difficle farsi un'idea più dettagliata di così. Sei minuscolo perchè ti agiti così tanto? Se credi che ci sia qualcosa di importante da fare, sei tu, giobbe, al massimo, che devi cercarla. Sei tu che devi portare avanti la tua guerra persa. Cosa vuoi che sia, chiedere a me. Come se io potessi fare il lavoro al posto tuo.
Così dice dio a giobbe.
Anche se in effetti dio non c'è. È solo nella testa di giobbe, probabilmente. Perché giobbe non accetta che il dolore non abbia una ragione, non discenda da un ragionamento. Cerca una ragione, non ne vede nessuna. Per questo impazzisce, soffre e si arrabbia. Perché più cerca in dio, più dio si sottrae al suo sguardo.
In definitiva giobbe è davvero un uomo che sperimenta l'abbandono di dio.
Dove sei? Perché non vieni a parlarmi come hai fatto con tutti gli altri.
Perché non vieni a darmi un ordine o un' indicazione?
Cosa vuoi che faccia? Che uccida, che compia azioni contrarie alla mia natura per dimostrarti la mia fedeltà, la mia fede?
Cosa devo fare, cosa mi vuoi dire.
Il fatto è che dio, in questo caso, non solo non ha niente da dire, ma è assente.
Si disinteressa del tutto di lui.
tu mi dici sempre che io sono un'orfana di dio, che interpreto tutto con una visione deocentrica nella quale al posto di dio c'è un buco.
Poi il tuo discorso si piegava dalla tua parte, perché i tuoi discorsi finiscono sempre per piegarsi dalla tua parte. Finiva per dire che solo quelli che accettano il fatto che tutto sia privo di senso finale, possono trovarne uno più piccolo, che è comunque meglio di niente. Intendevi dire che come spavento la vita non la può smettere mai di spaventarti. L'unica possibilità in pratica è prenderla da dietro o da un lato.
Ma se io ho paura, cosa posso fare? Ti ho chiesto.
Tu hai paura delle cose che non puoi controllare, la maggior parte delle persone ha paura e cercano di controllare.
Non si può.
Noi non siamo nela posizione di poter controllare nulla.
Come delle formiche su un tram senza conducente.
Non siamo nella condizione di controllare né di vedere cosa c'è da controllare.
La vita non ci consente di capire quale sia la nostra posizione nella sua spiegazione.
Perciò è inutile avere paura, la paura è la cosa dalla quale si parte non puo' anche essere la cosa alla quale si arriva. Se no si gira in tondo.
Però qualcosa che mi sfugge nel tuo ragionamento. Non ricordo come andasse a finire.
La sola cosa che mi è chiara è che tu hai molto più coraggio di me. Questo lo riconosco.
Perché io, a volte anche solo l'idea di stare dentro un corpo, mi fa venire voglia di scapparne. Non lo sopporto il corpo. Mi sembra un posto troppo pericoloso e minacciato.
Preferirei al limite starmene fuori, essere più veloce negli spostamenti e meno visibile.
Il corpo è una preda, non solo per il fatto di essere commestibile ma anche per tutto il resto. È preda di tutto. È un contenitore in balia della caso. Troppo precario. Chi vorrebbe starci dentro.
Eppure, forse. È propri questa comunanza di precarietà che rende l'umanità un po' più simpatica. Se fossimo davvero tutti al sicuro saremmo ancora peggio.
Giobbe è forte perché si corrompe, perché il suo corpo è capace di corruzione, la sua mente è in grado di guardare il corpo che si corrompe, e di dire: questo, questo movimento dall'alto verso il basso, io sono.
Io sono questa cosa che va alla fine, nell'atto di andare.