lunedì 29 novembre 2010

louis

louis entra in bar. non è un fatto strano, louis entra sempre nei bar. solo, non in quelli con la televisione.
per il resto va bene, un bar o l'altro. purché non abbiano la telvisione. 
prendi un drink. dice louis. e prende un drink. loius ha un debole per i drink.
nessuno sembra accorgersi di lui. forse perché non c'è nulla di straordinario nel prendere un drink. forse perché louis non è un tipo degno di nota.
anche se da qualche tempo parla da solo.

mercoledì 24 novembre 2010

short stories con la parola cazzo

1
c'era una volta una formica che non sapeva di essere una formica. incontra un'altra formica e pensa - che sfigata quella cosa lì, con le zampette che mi è appena passata di fianco. poi incontra un'altra formica, e pensa - oggi ne passa di gente messa male madonna. poi si vede riflessa in una goccia d'acqua e pensa - non sarò mica una cosa tipo quelle che ho visto passare prima? si guarda meglio: ma non mi dire, sono proprio una formica del cazzo anch'io.
allora poi, da quel momento, quando incontra altre formiche, le guarda con meno spocchia.
 
2
c'era una volta una rana in uno stagno. tutte le sere gracidava con le sue amiche sul bordo dello stagno mentre i maschi erano a caccia di zanzare. faceva una vita molto tranquilla e regolare. un giorno però si dice- cazzo, mi rendo conto che in tutta la vita non sono mai stata da nessuna parte. sempre qua a gracidare tutte le sere. non c'è una volta una sera che abbia fatto una cosa qualunque che non fosse gracidare.mai. non mi è mai neanche venuto in mente che magari potevo chessò, farmi un giro, andare a dare un'occhiata quel che succede qua intorno. niente.solo stagno e gracidare tutta la porca vita.
allora da quella sera non gracida più.

3
c'era una volta un asina. c'era una volta io che mi ero innamorato di quell'asina. tutte le volte che potevo le davo un bacio sul naso. il naso degli asini è morbidissimo e sopra ha dei piccoli pelettini che pungono un po' le labbra ma non fanno assolutamente male, anzi. cazzo. era bellissimo baciarmi  la mia asina.

4
c'era una volta un orso grassissimo. quest'orso non aveva amici perché non gliene fregava niente. stava bene da solo sotto il suo albero di gelso. era molto grasso e qualche volta pensava - uno di questi giorni mi faccio una corsetta tanto per dimagrire.
però questa corsetta mai che la facesse. una volta era stanco, una volta non c'aveva voglia, una volta faceva troppo caldo. insomma, pensava l'orso - se corro o non corro sono fatti miei. non è che c'è qualcuno che
mi controlla e mi dice cosa devo o non devo fare. allora poi l'orso ad un certo punto una bella mattina si alza, si stira, e bel bello si fa una corsetta. la cosa gli piace e il giorno dopo ne fa un'altra e anche il giorno dopo. dopo poi, tutte le mattine l'orso si fa la sua corsetta e dopo alla fine dimagrisce. però poi un giorno l'orso, mentre corre si dice- che idea del cazzo questa di correre, non so proprio come mi sia venuta. è proprio un'idea del cazzo. però continua a correre, perché ormai si era abituato.

5

c'erano una volta un bruco e una farfalla. il bruco guardava la farfalla con un certo interesse. pensava di mangiarsela. allora la farfalla gli dice - guarda che ti ho capito tu che cosa stai pensando, di mangiarmi eccetera. ti avviso subito che è un'idea del cazzo.primo perché ho le ali e scappo. secondo perché tra un po' anche tu diventi farfalla. non ci si mangia tra gente della stessa categoria.

6

c'erano una volta un elefante e un topo. Elefante - dice il topo. ma l'elefante non sentiva perché era troppo in alto e anche perché stava facendo un'altra cosa. allora il topo gli dice di nuovo- elefaaaante. ma niente. l'elefante non lo sente. allora il topo sale sulla zampa dell'elefante si arrampica su su  fino all'orecchio dell'elefante e ci urla dentro: elefanteeee
allora l'elefante prende il topo con la proboscide, lo tiene appeso per la coda e gli dice - che cazzo vuoi che urli così, sei scemo o cosa?
e il topo gli risponde - scusa, mi sentivo solo.

7
in fase di creazione.








un tentativo gigante e inutile


Anche adesso, per esempio, ho preso a scrivere sperando che mi tornassero in mente. Ma niente.
Non ricordo mai le parole precise. Parlavi del senso della vita, di cosa ci stiamo a fare qui, se non per fare un grande tentativo gigante e inutile.
La partita è già persa, questo me lo ricordo. Ricordo che me lo dicevi e che questo mi aveva fatto subito pensare a giobbe. A dio che dice a giobbe, caro giobbe, cosa vuoi da me?
Io non ci sono. Non è a me che devi attribuire il male che ti succede. Non c'è niente, non c'è nessuno. Il male non ti succede. Il male è come un pulviscolo senza intenzione, se ti si posa addosso non è per un disegno, non è per volontà mia o di qualcun altro, nessuno pensa a te, né a premiarti né a punirti. In effetti fondamentalmente tu sei una cosa tra le altre ed è molto difficle farsi un'idea più dettagliata di così. Sei minuscolo perchè ti agiti così tanto? Se credi che ci sia qualcosa di importante da fare, sei tu, giobbe, al massimo, che devi cercarla. Sei tu che devi portare avanti la tua guerra persa. Cosa vuoi che sia, chiedere a me. Come se io potessi fare il lavoro al posto tuo.
Così dice dio a giobbe.
Anche se in effetti dio non c'è. È solo nella testa di giobbe, probabilmente. Perché giobbe non accetta che il dolore non abbia una ragione, non discenda da un ragionamento. Cerca una ragione, non ne vede nessuna. Per questo impazzisce, soffre e si arrabbia. Perché più cerca in dio, più dio si sottrae al suo sguardo.
In definitiva giobbe è davvero un uomo che sperimenta l'abbandono di dio.
Dove sei? Perché non vieni a parlarmi come hai fatto con tutti gli altri.
Perché non vieni a darmi un ordine o un' indicazione?
Cosa vuoi che faccia? Che uccida, che compia azioni contrarie alla mia natura per dimostrarti la mia fedeltà, la mia fede?
Cosa devo fare, cosa mi vuoi dire.
Il fatto è che dio, in questo caso, non solo non ha niente da dire, ma è assente.
Si disinteressa del tutto di lui.

tu mi dici sempre che io sono un'orfana di dio, che interpreto tutto con una visione deocentrica nella quale al posto di dio c'è un buco.

Poi il tuo discorso si piegava dalla tua parte, perché i tuoi discorsi finiscono sempre per piegarsi dalla tua parte. Finiva per dire che solo quelli che accettano il fatto che tutto sia privo di senso finale, possono trovarne uno più piccolo, che è comunque meglio di niente. Intendevi dire che come spavento la vita non la può smettere mai di spaventarti. L'unica possibilità in pratica è prenderla da dietro o da un lato.
Ma se io ho paura, cosa posso fare? Ti ho chiesto.
Tu hai paura delle cose che non puoi controllare, la maggior parte delle persone ha paura e cercano di controllare.
Non si può.
Noi non siamo nela posizione di poter controllare nulla.
Come delle formiche su un tram senza conducente.
Non siamo nella condizione di controllare né di vedere cosa c'è da controllare.
La vita non ci consente di capire quale sia la nostra posizione nella sua spiegazione.
Perciò è inutile avere paura, la paura è la cosa dalla quale si parte non puo' anche essere la cosa alla quale si arriva. Se no si gira in tondo.
Però qualcosa che mi sfugge nel tuo ragionamento. Non ricordo come andasse a finire.
La sola cosa che mi è chiara è che tu hai molto più coraggio di me. Questo lo riconosco.
Perché io, a volte anche solo l'idea di stare dentro un corpo, mi fa venire voglia di scapparne. Non lo sopporto il corpo. Mi sembra un posto troppo pericoloso e minacciato.
Preferirei al limite starmene fuori, essere più veloce negli spostamenti e meno visibile.
Il corpo è una preda, non solo per il fatto di essere commestibile ma anche per tutto il resto. È preda di tutto. È un contenitore in balia della caso. Troppo precario. Chi vorrebbe starci dentro.
Eppure, forse. È propri questa comunanza di precarietà che rende l'umanità un po' più simpatica. Se fossimo davvero tutti al sicuro saremmo ancora peggio.
Giobbe è forte perché si corrompe, perché il suo corpo è capace di corruzione, la sua mente è in grado di guardare il corpo che si corrompe, e di dire: questo, questo movimento dall'alto verso il basso, io sono.
Io sono questa cosa che va alla fine, nell'atto di andare.

domenica 21 novembre 2010

appunti


prima di tutto non so se ti ricordi di quando eri piccolo.
parlo di sensazioni fisiche precise come il fatto che il tuo corpo fosse leggero, potesse essere sollevato e preso in braccio. per esempio: stare sulle spalle di qualcuno che cammina in montagna. quella sensazione che si prova, che non so perché adesso mi viene da associare allo stare su un cammello. anche se non sono mai stata su nessun cammello. oppure l'essere sulle ginocchia di qualcuno, o essere cullati eccetera.
è una sensazione che non è semplicissimo recuperare, però c'è , dovrebbe esserci nella tua memoria.
tutti dovrebbero averla da qualche parte, la memoria del proprio corpo piccolo.

poi, vorrei puntualizzare un altro paio di cose.
lo spettacolo dell'altro giorno aveva un difetto nella drammaturgia, l'ho capito solo adesso. fino ad ora avevo solo avuto una sensazione imprecisata di qualcosa che non mi era piaciuto, ma mi sfuggiva. mentre adesso mi pare di averlo capito. gli ultimi due personaggi non sono persone reali, non sono veri, sono degli stereotipi: la stuprata carcerata redenta e il barbone indomito.voglio dire, non ho niente contro puttane sante e ultimi della Terra,mi piacciono anche, in scena, ma in quel contesto mi  sembravano troppo grandi. questi personaggi, che si portano dietro una storia così esemplare, così ingombrante, non li puoi mettere di fronte all'intimità, al dettaglio, perché è evidente che non ci stanno. è un problema di proporzioni , e di fuoco dello sguardo emotivo. 
se mi emoziono per Medea non posso emozionarmi contemporaneamente per un gattino che investito da un auto. non che non possa emozionarmi, ma non nello stesso momento, perché i due appartengono a scale di grandezza di realtà diverse. come Paperino e tuo fratello, Biancaneve e il benzinaio sotto casa tua.
perché l'azione del parlare ad un morto che ti sta per così dire acuore, doveva restare in primo piano e intima. o forse semplicemente perché mi interessava di più che quella situazione restasse centrale e non diventasse un pretesto per tirare fuori dal cappello dei personaggini pret a porter.alla fine in primo piaco ci si è messo l'attore e non c'è niente di meno commovente che un attore che si mette in primo piano con la scusa di un personaggio.

un'altra cosa: ieri D parlava dell'impossibilità di presentare le dimissioni, nella nostra condizione.
l'ho trovata una cosa interessante. l'idea che le nostre dimissioni non le accetta né le rifiuta nessuno.
è un fatto che andrebbe tenuto presente, da tutti i punti di vista. cioè, sia dal punto di vista del piede di porco, che se non ha nulla su cui fare leva, non può scassare. sia dal punto di vista di quando ti siedi a scrivere. nessuno te lo fa fare.

ultima cosa: devo ricordarmi di dire a B che Sciociò deve avere le gambe. perché altrimenti diventa assolutamente impossibile convincerlo provare a fare una capriola. che è poi uno dei primi atti coraggiosi che mi vengono in mente.

adesso vado, ho paura come sempre, ma non sempre della stessa cosa.

sabato 20 novembre 2010

buone regole

ci sono cose che è meglio non dire di pensare e cose che è proprio meglio non pensare neanche. bisogna pensare solo cose che si possono pensare e dire solo cose che si possono dire di pensare. le cose che si possono pensare ma non si possono dire, occupano spazio a ufo nella testa, se il pensiero non esce, comprime. i pensieri compressi, che non si possono pensare, non pagano l'affitto. vanno sfrattati.i pensieri sfrattati vanno messi al sicuro in luoghi appropriati, che li rendano incapaci di nuocere alla realtà data. la realtà data può e deve essere pensata. la realtà data fornisce il pensiero su se stessa e dispone che qualunque altro pensiero non sia autorizzato a rappresentarla.

qualuque pensiero non autorizzato, non è considerato rappresentativo e dunque non è considerato legittimo. i pensieri illegittimi abitano le menti abusivamente e non sono legali, non hanno permesso di soggiorno e vanno dunque rimpatriati. la loro patria è fuori dalla realtà. la realtà è tutto, la realtà è tutti i luoghi. i pensieri non autorizzati non sono autorizzati all'interno di essa e neppure all'esterno di essa, non essendovi, in realtà, alcun luogo al di fuori di essa.

pertanto, chiunque producesse pensieri non autorizzati, senza permesso di soggiorno, è tenuto a denunciarne l'esistenza temporanea e a procedere alla revoca della suddetta esistenza temporanea.l'esistenza temporanea di un pensiero non autorizzato, non ha comunque valore di realtà. anzi, è considerata un attentato ad essa e, come tale, prevede un ammonimento.

due ammonimenti fanno del pensatore un sovversivo.

tre ammonimenti fanno del suddetto pensatore un malato di mente.

quattro ammonimenti sono troppi. la realtà non li tollera.

la realtà non tollera alcun pensiero che possa mettere in discussione la logica e il procedimento atti a legittimare la propria logica e il procedimento di legittimazione della stessa.

la realtà non puo' in alcun modo garantire la sicurezza dei propri componenti, se non avvalendosi di strumenti di auto tutela e protezione. la tutela e la protezione agiscono per garantire, a tutti i componenti della realtà, il diritto alla prassi di esistere. la prassi è determinata e garantita dalla pre esistenza a tutti i pensieri che possano mettere in discussione tale stato di prassi. 

la prassi è garanzia di autolegittimazione. la prassi è la base e il fondamento di ogni realtà che possa dirsi tale. la realtà è una. la prassi è molteplice, ma fa capo ad un unica logica di riferimento, che la avvalora e le conferisce attendibilità.

tutte le prassi sono attendibili.

la prassi è il pensiero pensabile, la prassi è il pensiero dicibile.

altro non c'è.

altro non deve esserci.



giovedì 11 novembre 2010

una storia praticamente finita (testo incompleto)


prendeva il caffè qui vicino a me, stava bene ma non posso dire se fosse cambiato o no. una volta era grasso, grassissimo, per via di un intolleranza al glutine.O forse no: l'intolleranza c'era, ma era di altro tipo. il fatto è che appena l'ho visto ho subito pensato che dentro doveva esserci qualcun altro. qualcuno che non era stato lasciato uscire. poi lui si è alzato ed ha lasciato come un alone di stanchezza intorno alla sedia. una cosa come un peso lasciato lì. non avrei avuto alcun motivo per dirgli qualcosa. cosa potevo dirgli? salve, che storia, mi si è appena spaccato un dente in effetti puo' essere che fosse già rotto da molto tempo ma solo adesso me ne sono resa conto.
lei è per caso un dentista? ma quello non era il punto, il punto era tutto intorno. nel percorso, direbbe qualcuno che non sono io.infatti certe persone non sono fatte per esserci d'aiuto. mentre altre lo sono. e noi stessi del resto, anche noi, non siamo fatti per essere d'aiuto a tutti indiscriminatamente. e neppure i dentisti sono fatti per curare tutti i denti indiscriminatamente.
per esempio il mio, certi denti li cura, certi altri li sevizia.non è colpa di nessuno, le pare?
lui allora risponde, si dà il caso che io sia proprio un dentista, se vuole, se le serve può venire nel mio studio e in un attimo mettiamo tutto a posto, poi in un attimo andiamo nel suo studio, a pochi isolati dal locale, e in un'oretta lui mi rimette a posto il dente. come lo vuole, mi chiede, ad un certo punto?
in che senso? gli faccio capire io, parlando con la bocca aperta.
colore, intendo - dice lui - di che colore lo vuole?
il dente?
sì, appunto.
non saprei.
lui alza le spalle e dice tra sé e sé, non c'è più sensibilità.

sabato 6 novembre 2010

arte della risalita

pensa all'hotel ogni volta che la vita le si fa insostituibile. l'hotel è la migliore delle cure. un luogo anonimo, privo di giudizio, in cui tutto potrebbe essere da capo. ha notato che quando si cade si risale? ma non sempre si arriva al punto dal quale si era caduti. questo alcuni lo chiamano entropia, alcuni semplicemente stanchezza, altri neppure se ne accorgono. ma il punto dal quale si è caduti è fondamentale. risalire è l'arte, in un certo senso:arte della risalita.
l'hotel ha lenzuola pulite, ha numeri per ogni cosa.
se lei potesse sceglierebbe un hotel sempre al'ultimo momento. se le fosse possibile.
vivrebbe di questa necessità istantanea. un luogo che possa ospitare un essere umano stanco e desideroso di dormire. farsi la doccia. saponette, cuscini.
tutto, non risente.