martedì 27 settembre 2011

certe risposte possono venire solo quando non c'è tempo per rispondere

noi facciamo sempre il contrario di quello che diciamo, disse amanda salendo sul treno mentre non ci voleva salire.
luis stava sotto e la salutava da sotto. luis era abituato a vedere amanda salire su treni sui quali non voleva salire, non le chiedeva mai, perché non scendi, allora?
amanda voleva sempre delle risposte quando stava per partire. odiava partire, perciò le venivano in mente tante domande finali.
luis al suo posto, da terra, non capiva perché amanda avesse tanta fantasia per le domande a tempo.
amanda sapeva che certe risposte possono venire solo quando non c'è tempo per rispondere. amanda amava luis, solo quando luis stava per essere lasciato dal treno e con lei sopra. la colpa, pensava amanda, era del treno.
luis amava amanda che saliva e che scendeva dal treno, la amava aldilà del treno, perché luis non aveva bisogno di risposte.

noi facciamo sempre il contrario di quello che diciamo, non è una domanda, disse luis, è un'affermazione.
perché? chiese amanda, sporgendosi un po' dalla porta del treno, ma senza scendere. 
non so il perché, rispose luis, e non so se tutti facciamo davvero il contrario, come dici. 
sì, noi lo facciamo, disse amanda, facciamo il contrario.
e perché facciamo il contrario? chiese luis, dato che mancavano ancora sette minuti alla partenza del treno, che non era né troppo tempo, né troopo poco.
perché ci viene, rispose amanda.
non c'era molto tempo. non c'era il tempo di capire perché amanda avesse chiesto questa cosa a luis proprio in quel momento e non c'era modo di intavolare una delle solite discussioni di approfondimento. perciò luis tacque.
poi il treno partì. chissene frega di cosa volevo dire, chissenefrega di cosa volevo dire pensò amanda da sopra il treno.
luis guardò il treno partire, si accese una sigaretta. mentre tornava indietro vide alfredo e lo salutò, perchè luis salutava tutti, anche i tossici e i barboni della stazione.
amanda prese posto nella cuccetta, non aveva voglia di essere amichevole ma nel letto sotto il suo c'era un violoncello e salutò la violoncellista, per rispetto nei confronti del suo violoncello.
poi salì in cima, nella cuccetta in alto, mise la sua valigia nel posto delle valigie ma non tirò fuori niente. non il pigiama, non lo spazzolino, niente,perché non aveva voglia di tornare giù. prese solo il libro sulle divinità indiane e lesse di Shiva, che non era una divinità che le piaceva, per questo fino a quel momento era passata oltre. perché Shiva la spaventava. Tutti gli altri dei non le facevano quella paura, ma Shiva le faceva paura.
il cuccettista non era un tipo gentile, odiava i passeggeri e lo dava a vedere senza problemi. se uno odia i passeggeri, non dovrebbe fare il cuccettista, disse amanda al soffitto, poi spense la luce grande e accese la luce piccola.


giovedì 22 settembre 2011

la categoria di Mo' (4)

Gli amici di Amanda si dividevano in due categorie.
Mo' non si era mai arresa. nella categoria di Mo' c'erano altri amici di Amanda, ma Mo' era la più forte e in assoluto la migliore lottatrice che Amanda conoscesse.
Mo', se qualcosa non andava per il verso giusto, prendeva la cucina, la sbatteva fuori casa. Se qualcosa non andava per il verso giusto, Mo' era capace di rivoltare i libri, per trovare l'antidoto alla sofferenza; perché la cosa più evidente e chiara a tutti gli amici di Mo' è che Mo' non prendeva la vita con filosofia. Mo', dal punto di vista dell'evoluzionismo, era destinata alla sopravvivenza, questo faceva di lei una bellissima donna, non completamente centrata.
Mo' guardava la televisione.
a Mo' piacevano le cose che piacciono a quelli che guardano la televisione.
Quando poteva, Mo' si andava a comprare delle cose nei negozi tutto a un euro, tutto a due euro, tutto a tre euro e se ne fotteva che fossero cose di poco valore o di poca qualità. La qualità delle cose di Mo' era Mo' a stabilirla.Se per esempio Mo' aveva voglia di un brillante, in quel momento l'anello col brillante era perfetto. Se Mo' per qualche ragione aveva voglia di uno spazzolino da cesso con dentro un carillon, in quel momento era lo spazzolino da cesso, la cosa pù perfetta e più preziosa che ci fosse.
i negozi cinesi contengono tutto o quasi tutto quel che ci serve, diceva Mo' ad Amanda, non devi avere paura.
Anche se Amanda aveva paura, entrava con Mo' nel negozio e per un po' si perdeva tra i piumini e le calze di nailon e i portasaponette con dentro gli angeli.
Mo' non aveva mai paura, al contrario di Amanda che ne aveva sempre un po'.
Mo', anche quando restava sola, individuava una tipologia di rimedio accessibile e se la prendeva.
Quel giorno era uno schiarente per capelli.
Tornate a casa, Mo' chiese ad Amanda di tenerle alcune cose che le scivolavano di mano e di rispondere al telefono al suo posto, poi,  in menodi un'ora e mezza, Mo' si fece bionda.
Il fidanzato di Mo' non aveva capito alcune cose, perciò se n'era andato. Allora Mo' aveva messo tutte le sue camicie davanti al cancello, le aveva riempite di dopobarba e aveva appiccato il fuoco.
quando il fidanzato di Mo' era tornato a prendere le ultime cose, le ultime cose non c'erano più.
si era arrabbiato ma non aveva detto niente, perché a volte con Mo' era meglio non aggiungere altro, se non si voleva peggiorare la situazione. Amanda andava molto d'accordo con l'ex di Mo', insieme avevano mangiato molti salamini. Non si riusciva a capire cosa avesse spinto Mo' a perdere quel fidanzato che Amanda trovava abbastanza perfetto per Mo', e simpatico in generale. Certe persone per Mo' non valevano la pena di rifletterci. Quando Mo' fu biondo platino, Amanda capì che il passo successivo sarebbe stato uscire.
Andarono a prendere il gelato perché Mo' aveva le sue fisse, e risalirono la via principale, guardarono le vetrine e Mo' disse due volte ad Amanda che avrebbe dovuto comprarsi qualcosa di carino, qualcosa di rosso, anche lei.

il bacio

nessuno aveva bisogno di bruciare
quel giorno era chiaro
la cosa migliore era non parlarne.
Presero tutte le cose
con il tappetino e tutto
misero a terra, tra le foglie,
per prendere il resto del giorno
per posarcelo sopra
una banana e altre vettovaglie.
Storie di feste
come avevano imparato dai film
a dire: tesoro, buon tutto.
Persino, presero la bottiglia
che non c'era,
presero la bottiglia,
e la stapparono,
si dissero ancora: auguri e amore.
La guerra era già cominciata,
ma le foglie erano rimaste uguali, le stesse,
la terra era una polvere di vitalità
e quale guerra fosse non importava.
In quel caldo tenue,
come un addio perenne, 
d'alberi muti.

martedì 20 settembre 2011

grazie per l'impegno e ci vediamo fuori

Il giorno che il tricheco uscì dal tricheco fu una sorpresa per tutti e due. Amanda non si era per niente preparata e non era in ordine. il tricheco si era appostato dietro la cassa, la cassa speciale numero uno, e poi, quando Amanda l'aveva guardato, aveva semplicemente detto, grazie per l'impegno e ci vediamo fuori.
Così Amanda non aveva potuto replicare e le restavano ancora cinque ore.
Ros aveva capito qualcosa, perché stava alla cassa due, ma non aveva capito che quello era il tricheco. Aveva capito che quello era uno che si era appostato e che si era appostato per Amanda. Ros capiva tutte le cose a sfondo sessuale perchè era fondamentalmente la più troia di tutte e non ci metteva niente a dimostrarlo perchè le piaceva. Essere troia per Ros era soprattutto una missione, come può esserlo per una suora essere fidanzata dio. Ross era fidanzata con tutto, perciò ne sapeva. Aveva una borsetta lucciacante che teneva nell'armadietto dello spogliatoio. Dentro quell'armadietto Ros aveva anche il lipgloss, ma la borsetta era più importante perché nella borsetta Ros  metteva le chiavi dell'auto. Una volta Ros aveva lasciato la golf gialla alla rotonda e l'altoparlante dopo aveva detto, si prega di rimuovere la golf gialla targata questo e questo e tutti avevano capito che si trattava della golf di Ros. Allora Ros aveva detto che lei nel parcheggio l'auto non la metteva perché i dipendenti non devono parcheggiare l'auto nel parcheggio e che era per questo che l'aveva messa nella rotonda, questo perché Ros era troia su tutti i fronti, non solo con gli uomini, anche col supermercato. E poi non si era scomposta neanche un attimo, si era messa a fare un rumore con la bocca, come per chiamare un gatto, aveva fatto tztztz, e subito era comparso un tecnico informatico coi dread alla cassa due, la cassa di Ross. Allora Ros aveva detto al tecnico informatico, tu me lo fai il piacere? con il lipgloss ben spalmato su quella bocca da quarantacinquenne, e il tecnico informatico coi dread che avrà avuto si e no venticinque anni aveva detto subito sì, prima ancora di sapere che piacere fosse. Perché Ros è così troia che non si può resisterle neanche coi dread. allora Ros aveva detto con la voce da bambina che non te la vedi, di andare di corsa nello spogliatoio delle ragazze e di aprire un armadietto e di tirare fuori la borsetta con i brillanti che si riconosceva non ci si poteva sbagliare perché aveva i brillanti, dentro c'erano le chiavi della golf che il tecnico informatico era corso a prenderle e aveva messo a posto la macchina di Ros e aveva rimesso le chiavi nella borsetta. 
Amanda non detestava Ros, perché era di una categoria sopra di lei, era esperta e se la cavava e anche quando l'impianto di allarme andava in tilt non perdeva mai la calma, e anche perché non le faceva niente e non le poteva fare niente. Ma alcune detestavano Ros. Amanda non voleva solo che Ros si fosse accorta troppo del tricheco, ma solo perché aveva paura che Ros le dicesse quello che Amanda stessa non voleva né sentire né pensare.
Ma Ros non disse niente, si limitò a seguire la scena con attenzione, senza smettere di far passare le merci nello smagnetizzatore. 
Alle dieci Amanda si diresse verso l'uscita, sapendo che fuori, da qualche parte, l'aspettava il tricheco. Non era né contenta né non contenta. Pensava alla famiglia. Alla sua bella famiglia ideale, e cercava di immaginare come il tricheco sarebbe entrato e uscito dalla stessa porta di casa dalla quale era entrato e uscito Luis e se qualche volta l'avrebbe potuta sbattere o se l'avrebbe sempre chiusa con riguardo e non come faceva Luis. Poi pensava alle feste natalizie, se il tricheco le avrebbe passate a casa a fare l'albero di natale e se avrebbero fatto delle fotografie anche se ormai aveva passato l'età in cui tutte le foto vengono bene, pensava che avrebbero dovuto fare almeno dieci fotografie di natale col tricheco, perché in almeno una o due la sua faccia fosse passabile, si immaginava le posizioni, col tricheco, che avrebbe potuto fare esattamente le stesse cose che faceva fuori dal centro di bricolage, ma questa volta solo per la famiglia come la immaginava lei e che avrebbero riso pensando che quello era un tempo solo loro, un tempo privato, nel quale il tricheco si sarebbe mosso e avrebbe scodinzolato e dondolato e distribuito regali al posto delle fotocopie di motoseghe. E Amanda sorrise e uscì.
Fuori era buio, non si vedeva niente. Si guardò intorno e non vide l'uomo che aveva visto solo una volta, l'uomo tricheco, poche ore prima per pochi secondiche le aveva detto grazie per l'impegno ci vediamo fuori. Si sentì come se si fosse persa nel parcheggio e si vergognò di non vederci più.

lunedì 19 settembre 2011

costellazioni di venere e riflessi condizionati

Ce' aveva visto la luce prima di Amanda. Ce', da molto tempo, quando ancora non si credeva a certe cose, sedeva per terra. forse perché veniva da una famiglia che non le aveva dato niente, da una madre che non le aveva dato niente o qualcosa del genere. Amanda non capiva cose Ce' cercasse tanto assiduamente seduta per terra, però un po' alla volta le venne voglia di sedersi vicino a Ce', a guardare. Ce', secondo Amanda, era pra
ticamente inattaccabile, invece secondo Ce' non c'era niente che non fosse attaccabile. Ma Amanda era molto lontana dal capire cosa Ce' intendesse dire.
Ce' aveva un terrazzo. La mattina sedevano sul terrazzo e mentre Ce' meditava, Amanda stava in ginocchio a guardare fuori, o anche pensava alla colazione o a quanto Ce' si preoccupasse inutilmente.
Qualche sera organizzavano delle cene sul terrazzo e dopo Ce' apriva alcuni libri per spiegare ad Amanda come l'anima fosse staccata dal corpo, come l'anima, a detta di Ce', abitasse il corpo con un contratto di affitto, e di come poi trasmigrasse in certi cieli, che in definitiva non erano altro che il posto al quale tutte le anime desiderano fare ritorno. Amanda non credeva che Amanda credesse davvero a quelle cose, ciononostante, guardava le figure che Ce' disegnava per lei nell'aria, i cerchi concentrici colorati, e sentiva molta devozione per Ce', perché l'amava, a suo modo. 
Ce' aveva molti difetti, perché aveva provato alcune cose, da piccola, in posti che Amada on conosceva. La tragedia di Amanda era come un lenzuolo, ci si poteva ormai ballare sopra. la tragedia di Ce' era invisibile, presente solo in piccoli impercettibili istanti di tensione del corpo di Ce', o nel fatto che lei dichiarasse: questo non lo so fare, opure, questo non posso più farlo. quando era evidente il contrario.
oltre ciò Ce' aveva cominicato molto presto a procacciarsi creme antiossidanti e prodotti all'elastina. Amanda non conosceva il tempo, diceva Ce', del tempo Amanda conosceva solo il passato remoto e un tipo di futuro labile che a volte faceva tremare tutto, e Ce' diceva, inconsapevolezza. Ce' diceva sempre ad Amanda inconsapevolezza. 
certi giorni Amanda andava da una psicologa, per vedere di riuscire a levarsi di mezzo, e Ce' allora l'aspettava. Prendevano l'autobus e Amanda lasciava il bambino nelle mani di Ce' e le diceva grazie.
Ce' parlava al figlio di Amanda come si parla ad una persona che capisce tutte le parole e anche il senso delle parole. Ce' usava con il figlio di Amanda parole come frustrante, coraggioso, paradossale, mentre lo dondolava tenendolo tra le braccia in modo teorico. Ce' aveva concepito il figlio di Amanda, in modo teorico, lo cullava e se ne prendeva cura in modo teorico perché Ce' aveva dovuto trovare tutte le risposte da sola, aveva dovuto cercarle il più delle volte su libri prestati e farle sue col respiro. Amanda al contrario non aveva mai cercato risposte e non le aveva mai trovate. andava dalla psicologa per limitare il contraccolpo della sua vita contro il suo corpo o contro il corpo degli altri o contro tutto, ci andava come dal dentista, per dire che aveva almeno cercato di fare qualcosa, anche se non era vero. Amanda andava dalla psicologa perché la psicologa le legasse le mani. Quando Amanda era via, Ce' parlava al figlio di Amanda delle costellazioni, di Venere, di Jung, dei riflessi condizionati. Ce' non avrebbe mai fatto un figlio perché un figlio non era previsto nei piani e anche perché Ce' teneva moltissimo alla sua pancia piatta. Ce' diponeva che il suo corpo fosse elastico e sano, che il suo corpo non invecchiasse mai. Ce' aveva col suo corpo un linguaggio confidenziale e quotidiano, per questo Amanda sedeva accanto a lei sul terrazzo, a guardarla mentre respirava.
molte cose poi, erano morte. tutte le cose muoiono, diceva Ce' ad Amanda. Ma la morte per Ce' era una cosa liscia, una cosa bianca senza sapore. Amanda scappava di fronte a certe cose di Ce', si metteva a correre come un criceto sulla ruota pur di non sentire quello che Ce' le diceva circa la realtà delle cose e che gli individui non contano. Amanda non capiva perché, se gli individui non contano, Ce' si cospargesse di tutte quelle creme anti rughe a poco più di trent'anni. Ma Amanda non voleva dispiacere Ce', perché la vedeva come una cosa intera e come un'amica e la considerava sacra come una vacca indiana.
Del resto, non c'era niente che Amanda non avrebbe fatto per Ce', tranne crederle davvero.

domenica 18 settembre 2011

il tricheco

la quarta volta che luis se ne andò sbattendo la porta, amanda s'innamorò del tricheco. era una mattina pallida e amanda, come ogni mattino, si alzò presto e se ne andò al lavoro. l'ipermercato nel quale lavorava comprendeva un centro per il fai da te, e il tricheco si aggirava tra la gente con il nome del centro stampato a chiare lettere sula pettorina da bricoleur azzurra, offrendo volantini che promuovevano falciatrici e troncatrici e muovendo la testa in su e in giù in segno di assenso e di pensiero positivo. in verità non si trattava di un tricheco, amanda lo considerava un tricheco, ma era un castoro, perché è il castoro che fa le dighe, che usa i denti per costruire ponti e strutture ed è per quasta ragione che era stato scelto come mascotte del centro fai da te. comunque questo ad amanda importava poco o pochissimo, quando vide il castoro lo considerò subito un tricheco, perché era grande e forte. dondolava sotto tutto quel pelo, con una piccola apertura coperta da una grata, come un burqua, attraverso la quale il tricheco,  l'uomo o la donna che ci stava dentro, poteva vedere dove mettere i piedi e cosa aveva davanti, e non inciampare. amanda era alla cassa e per tutta la prima parte della mattinata aveva pensato solo a luis, a come aveva fatto di nuovo quel rumore di porta che si chiude fermamente, senza sbattere, senza risuonare, dalla quale si evinceva che la porta sarebbe rimasta chiusa per molto tempo, a meno che qualcuno, da dentro,  non l'avesse di nuovo aperta. nella seconda parte della mattinata, invece, forse perché il flusso di clienti si era un po' rarefatto, amanda cominciò ad annoiarsi, poi a guardarsi intorno ed infine ad innamorarsi del tricheco. fu un colpo di fulmine.
non sapeva come dirglielo, al tricheco, che lo amava, che amava proprio lui in quanto tricheco. non l'essere che gli stava dentro, ma l'animale che lo ricopriva. amanda era molto emozionata, e passò il resto della mattina a cercare un approccio giusto per fare amicizia con il tricheco, anche se non le veniva in mente nulla. si risolse per un attacco frontale: staccatasi dalla cassa, con la scusa di una telefonata, si diresse con sicurezza in direzione del negozio di bricolage, di fronte al quale stava, zampettante e dondolante, il tricheco.cioè  il castoro. era davvero grande e molto peloso. arrivata di fronte al tricheco,  gli accarezzò una zampa e gliela strinse. che bello, pensò.
questo fu il passo più impavido che amanda fece e non se ne pentì per niente, neanche dopo aver osato farlo. aspettò  le restanti ore, in cassa, che il tricheco le desse un segno, ma il tricheco era troppo impegnato a penzolare di qua e di là per il corridoio, con le sue falciatrici fotocopiate in mano. peccato, pensò amanda. se mi  potrei offrirgli da bere in una ciotola o regalargli qualcosa.
quando il suo turno finì, amanda andò a cambiarsi, in spogliatoio non c'era nessuno. si cambiò abbastanza in fretta e si lavò la faccia e le mani, si guardò allo specchio e disse a voce alta: io amo il tricheco.  cosa ami?, disse una voce dietro di lei. era selma, una donna africana, molto robusta, che lavorava nel reparto pescheria. un tricheco, rispose con calma amanda.
adesso ami un tricheco, replicò ana con la voce bassa, amare gli animali è una cosa contro natura. ma amanda non le diede ascolto, non voleva diventare di nuovo infelice perciò si pettinò ed uscì dallo spogliatoio. attraversò il supermercato e prese, nel reparto ortofrutta, una piantina di basilico. passò alle casse e pagò la piantina. mentre si dirigeva all'uscita incontrò il tricheco, allora gli  mise davanti la piantina. poi amanda chiese: ti piace? al tricheco, il tricheco fece sì con la testa. aveva capito! amanda si sentì sollevare da terra. é per te,  disse piano, gliela mise tra le zampe e scappò.

giovedì 15 settembre 2011

perfette (I)

amanda stava seduta sul letto a cincischiarsi un dito del piede, mentre luis stava in piedi,guardava amanda.
poi amanda disse, dimmi una cosa luis,
e luis disse piano , sii?
te ne importa così tanto?
e luis disse ancora piano, noo, amanda si può fare altro se preferisci
e amanda si tirò su i capelli disse, facciamo delle foto?
se vuoi,se è questo che vuoi.
non è questo che voglio, disse amanda, è questo che ho voglia di fare ora, tutto qua.
la macchina fotografica era sul tavolo, luis la prese e cominciò a scattare.
si mise accanto alla finestra.
così no, disse luis, non possiamo farle.
perché? chiese amanda
perché la luce entra troppo nell'immagine non ti si vede.
scatta così, disse amanda, la luce.
amanda si mise davanti alla finestra mentre luis le faceva altre foto. non si spostava mai, non si metteva in posa, stava semplicemente davanti alla finestra come un manichino col pensiero lontano ad ascoltare gli scatti.
luis continuava a scattare, senza muovere la camera, senza cercare inquadrature: scattava foto alla luce con amanda.
ti ricordi? disse amanda, le foto che mi hai fatto allo zoo?
sì, disse luis,certo che me le ricordo.
la pellicola si era sganciata.
me le ricordo perfettamente quelle foto, disse luis, eri appoggiata alla palizzata di legno,davanti ai cervi, faceva freddo, tu avevi la giacca a vento blu con la lampo gialla,
avevi i capelli che si spostavano con il vento e sorridevi,
eri bella, disse luis.
mi ricordo quelle fotografie,disse amanda.
non ti muovevi, disse luis.
cercavo di non muovermi, disse amanda, volevo che il tempo si fermasse lì.
le foto erano perfette, disse luis.
perfette, disse amanda.

martedì 13 settembre 2011

progetto per un'installazione non realizzata.

se uno guadagna trecento euro l'ora e un altro guadagna sei euro l'ora, allora 
è come se il primo vivesse di più. 
anche se il primo vive la metà, ha sempre vissuto molto più tempo libero del secondo. 
la vita è nel tempo libero?
se per mantenerti lavori tredici ore al giorno, per cosa ti mantieni? quando vivi? vivi per mantenere chi?
allora mi faccio queste domande perché ho pensato a questa installazione
in cui si fotografano delle sagome di figure professionali, 
e sotto c'è scritto il reddito orario e l'età. e poi la speranza di vita libera.
e da questo si dovrebbe capire che certe categorie, praticamente, nascono morte.
anche se non sono del tutto d'accordo con la mia installazione.
ed è questo il bello. perché c'è qualcosa che non si assoggetta alla dimensione temporale. c'è qualcosa 
che sfugge al conteggio.
come i neutrini.
in definitiva la mia installazione pensata, 
vorrebbe aprire 
la questione 
senza però risolverla.
perché è  il tempo che mi interessa. 
credo che il tempo sia in qualche rapporto col denaro,
ma che questo rapporto non sia una funzione semplice.
anche se all'apparenza tutto farebbe pensare 
che le cose stiano così.
in effetti, dati alla mano, il tempo non si può 
né allungare nè restringere.
però non è così.
non vorrei che questo adesso potesse sembrare 
un discorso di riscatto, 
un discorso cristiano sulla forza del perdente. no no.
è una questione aperta. tutto qua.
un lavoro sulle sagome.
buona notte.

lunedì 12 settembre 2011

il grandissimo spartiacque

l'avevi detto una volta
che sarebbe arrivato il giorno
del grandissimo spartiacque
ma io non ti credevo
perché non riuscivo a figurarmelo
e forse anche per via che a guardare
non ci si credeva.
però è vero,
devo riconoscere che ne avevamo parlato
un giorno mentre lavavi i piatti e dicevi piano
con l'acqua che ti colava dalla mano
sul gomito
che bastava contare
che sarebbe arrivato il grande spartiacque
e che ci avrebbe colti impreparati
anzi, avevi detto,
del tutto impreparati.
quando è venuto il grande spartiacque
tu forse non c'eri.
io non sapevo com'era fatto uno spartiacque
non l'avevo mai visto e neppure
ero riuscita ad immaginarlo.
per questo non l'ho riconosciuto,
l'ho lasciato entrare.
appena è entrato si è capito che qualcosa
era cambiato. quando è entrato
ho subito capito che quello avrebbe potuto essere
il grandissimo spartiacque di cui avevi parlato,
ma non ero sicura.
non ero sicura.
poi non se ne andava più,
infatti l'avevi detto che il grande spartiacque , quando arriva
dopo è difficile che se ne vada. è molto probabile
che quando in una casa arriva il grande spartiacque
non se ne voglia andare, avevi detto,
dove dovrebbe andare un grandissimo spartiacque?
avevi detto. da nessuna parte, dicevo io ridendo
quando la cosa mi pareva così impossibile
e fottutamente curiosa
(non avendo mai visto il grande sparticque pensavo: che sarà mai?
arriverà, noi non lo faremo entrare, si stancherà
e in fine andrà da qualche altra parte)
ma tu scuotevi la testa, dicevi no, tu fai entrare tutti,
farai entrare anche il grande spartiacque un giorno o l'altro,
e quando sarà entrato
non sarà più possibile farlo andare via.
ma smettila, dicevo, ti prometto che se verrà (ma non verrà, pensavo)
se verrà il grandissimo spartiacque qui da noi (ma non verrà,
figurati, pensavo)
io non lo farò entrare e la cosa finirà lì.
poi, invece, quando è arrivato il grande spartiacque
non sono stata capace di dire niente,
non ha neanche bussato, la porta era aperta.
la tua cattiva abitudine,dicevi, di non chiudere mai le porte.
avrei dovuto telefonarti subito per dirtelo,
avrei dovuto chiamarti e dirti: c'è qualcosa,
è arrivato.
ma tu mi avresti sicuramente chiesto: chi?
e io avrei dovuto dirti al telefono:è lui,
è il grande spartiacque
e non volevo. non volevo dire il nome
avevo paura.
ma se può farti piacere, se può darti sollievo,
allora posso dirti che sì,
che avevi ragione quel giorno che lavavi i piatti
e l'acqua colava dalla mano verso il gomito
mentre dicevi: attenzione, fai attenzione, arriverà
il grande spartiacque e tu non lo riconoscerai
e lo farai entrare perché tu fai entrare tutti.
anche se non è vero che facevo entrare tutti
solo il mattino, certe volte,
testimoni di geova che bussavano
perché mi spiaceva che bussassero per niente
anche se poi della parola di dio non mi interessava,
facevo qualcosa,
offrivo un caffè, facevo qualche domanda,
loro erano contenti delle mie domande, giravano il caffè
con lo zucchero, non volevano altro.
forse per loro era importante bere molti caffè
la mattina. forse i testimoni di geova
non sono altro che dei grandi bevitori di caffè, ti dicevo.
ma tu dicevi che no, non era così
non bisognava farle più entrare quelle cose
che portavano quelle loro parole stupide
e io dicevo, non fanno male a nessuno le parole
e tu dicevi, bisogna difendersi anche dalle cose che non fanno male a nessuno
bisogna abituarsi a tenere separate
le verità e le bugie
altrimenti prima o poi arriverà il grande spartiacque
e allora sì, che avranno ragione i testimoni di geova,
dicevi.